PROSPETTIVE PER UN FUTURO LIBERALE ITALIANO
«E certamente la maggiore differenza nel diritto delle persone
è questa, che tutti gli uomini o sono liberi o sono schiavi.»
«Et quidem summa divisio de iure personarum
haec est, quod omnes homines aut liberi sunt aut servi.»
(Gaio, Institutiones I, 9-12.)
La nascita. Il nostro movimento è nato sulla spinta delle più ortodosse idee liberali, per mezzo di veri e propri clothes of pact stipulati tra le associazioni, i movimenti ed i partiti che hanno preso parte all’Assemblea del 14 gennaio 2023 tenutasi a Milano.
In quella sede, nell’affermare con rigore il comune sentimento anti-populista ed antinazionalista, ciascuno potette sedersi di fianco all’altro nella consapevolezza di siglare un accordo sancito con libertà di forma, senza assumere alcuna obbligazione idonea a vincolarci contrattualmente nel futuro a venire. D’altronde “Nudum pactum non parit obligationem”.
Fu però proprio grazie all’innato contrattualismo liberale insito nelle menti dei presenti all’assemblea meneghina che si annunciò lo spirito che avrebbe caratterizzato nei mesi a venire la posizione dei Liberali Democratici Europei nel dibattito pubblico domestico ed europeo: in primis il forte rispetto per le liberà positive, ovvero per i diritti e per le tutele che la legge garantisce, ma anche il rispetto per le speculari libertà negative, quei diritti naturali insiti nelle libertà individuali come la vita, il movimento, la proprietà.
Il mandato. Ma, oltre all’entusiasmo, tra le clausole di questo mandato – espressione di un genuino sentiment liberale – si intravvedevano all’orizzonte già molte difficoltà, considerato l’ambizioso obiettivo che ci si prefiggeva: far convergere le diverse prospettive di “società” in relazione con l’idea di una libertà collettiva.
Motivo per cui il movimento di lì a poco sarebbe stato più volte attratto in un pericoloso vortice di autoritarismo tra Italia Viva ed Azione.
Le parti. Il Movimento costituente era invece conscio del fatto che la questione sull’unitarietà di un centro liberale italiano dovesse vertere anzitutto su un iniziatico dibattito da svilupparsi tra le varie correnti ideologiche e politiche riunitesi, inerente perlopiù alle libertà negative.
Sin dagli inizi era oltremodo chiaro che il confronto politico sulle libertà avrebbe richiesto di adottare un approccio dialettico ritenuto migliore, preferibile ad altri. Precisamente, occorreva individuare ed adottare una moderna forma organizzativa di partito con prerogative europeiste. Non v’è dubbio che questo fu certamente il punctum dolens della nascete casa dei liberali.
Occorrevano quindi scelte di campo responsabili da parte dei leaders del movimento e variegate sinergie tra gli individui che si riconoscevano essere anzitutto portatori di esperienze politiche diverse, sebbene liberali. Occorreva dare senso alla liberà, all’apertura, alla società civile, nella ferma convinzione che il rispetto e la prudenza sarebbero stati i migliori contributi alla straordinaria autodisciplina e solidarietà del movimento.
Per chiunque avesse minor prestigio politico, giovani o meno giovani, si delineava il bisogno di una saggia diplomazia per non cedere all’ambigua realtà del Terzo Polo.
Finché, dopo diversi avvicendamenti, una posizione interna paritaria propendette per l’autonomia del movimento rispetto alle altre forze nazionali centriste. Ed a ragione. Perché in effetti, dato che non potremmo considerare la libertà come “non-interferenza” in ragione del fatto che ogni persona è costretta a vivere in società complesse, illuminati dal pensiero di Philip Pettit in “Republicanism”, occorreva sin dal principio essere consapevoli del fatto che l’umanesimo civico del quale il Terzo Polo doveva farsi promotore avrebbe tralasciato in realtà di considerare proprio il senso delle libertà negative.
La questione verteva allora su come posizionarsi tra il repubblicanesimo, notoriamente più incentrato verso le libertà positive, ed il liberismo, storicamente ancorato, appunto, alle libertà negative. Un bipolarismo soltanto in parte contraddittorio e peraltro assai utile in termini autodeterminazione, così come dimostra l’esperienza in itinere della casa dei liberali proclamata durante la Costituente. Una questione che resta peraltro ancora aperta ed a tratti marginale ma che certamente si dirimerà soltanto nel contesto europeo.
Per questi motivi, a tratti squisitamente dottrinali, L.D.E. non poteva contraddire la propria ideologia più ortodossa né concedersi a complotti di parte, perché “Il concetto negativo di libertà… è più comunemente assunto nelle difese liberali delle libertà costituzionali tipiche delle società liberal-democratiche, come la libertà di movimento, la libertà di religione e la libertà di parola, e nelle argomentazioni contro l’intervento paternalista o moralista dello Stato. … in difesa del diritto alla proprietà privata, …”.
Quando si accese lo scontro tra il repubblicanesimo di Azione ed Italia Viva ed il liberalismo tout court, molti di noi reputarono tradizionaliste le discussioni sulle virtù civiche e sulla liberà politica perché – come ancora oggi si crede – si propendeva per una democrazia radicale. Per noi essere liberale è un aggettivo con precisi vincoli e sottintende “un complesso di regole di gioco che tutte le parti in lotta si impegnano a rispettare; regole dirette ad assicurare la pacifica convivenza dei cittadini, … a contenere lotte, … entro limiti tollerabili; … a consentire la successione al potere dei vari partiti. (Carlo Rossellini)”.
Certi allora che il populismo fosse un limite alla democrazia perché i populisti incarnerebbero la convinzione di chi, vinte le elezioni, pensa di fare “la volontà del Popolo”, ci muovemmo affinché l’eterna lotta restasse il prezzo della democrazia. Questo scontro, che il Terzo Polo ha manifestato all’opinione pubblica ma che è sempre stato viscerale nella storia politica italiana, ha suscitato una prima riflessione tra la necessità di uno Stato liberale democratico che impedisca la tirannia ed un movimento democratico liberale che impedisca l’anarchia.
L’avvicendamento di L.D.E. è stato esemplare. Sapientemente si è posto su un piano di diritto che vuole sussista una responsabilità legale, scaturente dal mandato assunto dinanzi alla Costituente, con la società civile, fondata su proprie ragioni epistemologiche liberali, perché è innegabile che il liberalismo sia (anche) una scienza dell’efficienza della cosa pubblica ed anche della politica.
Un approccio che, per quanto astratto, ha condotto ad una verità immanente: coloro i quali ambiscono ad una società liberale dovrebbero accettare a priori un compromesso tra un livello di paternalismo, di interferenza con il prossimo come insegna il filosofo Dworkin, ed il principio del danno tipico, dell’esaltazione delle libertà negative, parafrasando il pensiero di J.S. Mill.
Dall’astrazione al determinismo il passo fu breve: con la Costituente si prendeva atto che, se nel paternalismo esiste in effetti un’identità tra classi di persone che beneficiano di certe restrizioni e classi di persone che invece le subiscono – un senso di non-identità quando qualcuno subisce una restrizione perché in posizione inferiore alla maggioranza -, la posizione liberale degli intervenuti all’Assemblea di Milano volle che sarebbe stata la legge la vera obbligazione politica che tutti di lì in avanti avrebbero assunto dinanzi alla società politica italiana. Un’obbligazione generale, certo, ma con ragioni indipendenti tra loro, con il preciso dovere di perseguire un obiettivo politico comune.
Così si organizzò in L.D.E. un sistema di “check and balance” (meglio: di balance of reasons) per coordinare iniziative, dibattiti, prospettive territoriali. Lo spirito liberale permase. Le ambizioni europeiste anche. E nessuno ne rimase escluso.
L’accordo. Ora, a distanza di un anno da quella fatidica riunione di intenti e con un percorso ambizioso verso le europee 2024, tutti i sostenitori, i promotori, i movimenti coinvolti in L.D.E. hanno avuto modo di ritenersi convinti della bontà di quei propositi liberaldemocratici maturati col tempo e con il lavoro; e tutti hanno sperimentato l’esistenza di un comune sentimento riaffiorato.
Come il buon vino, ci siamo silentemente convinti che «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per attaccarlo a un vestito vecchio; altrimenti egli strappa il nuovo, e la toppa presa dal nuovo non si adatta al vecchio. E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spacca gli otri, si versa fuori e gli otri vanno perduti. Il vino nuovo bisogna metterlo in otri nuovi. Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: Il vecchio è buono!» (Lc 5,36-39, CEI).
Ma un’ulteriore consapevolezza è venuta alla luce. Oggi, a distanza di un anno e con le vicissitudini che hanno coinvolto la stravaganza tutta italiana delle idee nuove (che poi tanto nuove non sono), da liberali siamo fermamente convinti che un’eventuale e quanto mai scongiurato fallimento del nostro progetto non potrà che lederci tutti inevitabilmente, sia nello spirito che nel comune senso politico.
La deminutio. Così si volle che, una volta “chiamati alle armi” i liberali attivi e dormienti se non altro per un’autodifesa intellettuale, non avrebbe avuto poi gran senso strategico lasciare la strada maestra intrapresa assieme a Renew Europe ed A.L.D.E. Nessuno sarebbe stato disposto a dover ingiustamente patìre una deminutio capitis, una diminuzione dei diritti, dello status liberale dei singoli aderenti e, dunque, di tutti i sostenitori.
Un primo successo del movimento fu appunto proprio questo: aver reso consapevole la politica nazionale di avere una strategia, come visione d’insieme, e di una tattica, come azione, in esecuzione di un mandato conferito dai liberali italiani, a prescindere dalla semiotica politica.
Il pericolo di perdere la rotta europea tuttora permane nel “nuovo” scenario politico italiano, complici i diversi populismi e le diverse forme di nazionalismo. Almeno formalmente, in ragione di questi eventi, persino sovranazionali, i liberali potrebbero incorrere in futuro ad una deminuto minima della propria forza di espressione. Questa è allora la ragion d’essere della casa dei liberali democratici europei, di un programma politico self-Inclusive volto alla difesa di una libertà.
L.D.E. ha anche il merito di aver dimostrato che le idee liberali non hanno molto di nuovo se non il proprio carattere riformatore che, purtroppo, oggi non trova politici di pari doti. E che nessuno, alla fin fine, non possa dirsi di essere liberale.
Il problema è quindi definire che tipo di liberale si ritenga di essere. E quale deminutio sia il liberale disposto a concedere all’umanità egoista e, quindi, nella politica.
Sicuramente le distanze prese dal Terzo Polo hanno concretamente ridotto il rischio di una nefasta maxima deminutio, capace di poter ledere da un lato l’essenza individuale e di pensiero dei liberali italiani, dall’altro la nostra libertà collettiva, volenterosa di costruire una società che sia veramente da ritenersi liberale.
Anche su questo punto, se non altro la realpolitik messa in campo dai liberali democratici europei avrà il merito storico di aver tutelato il legittimo affidamento di quanti credettero e credono nel progetto, di quei tanti cittadini da tempo isolati nel panorama politico e sociale italiano.
Molti potrebbero pensare che, semmai vi fosse bisogno di un “salvacondotto” del progetto liberale italiano in itinere, questo sarebbe rinvenibile nelle vicende storiche moderne come la crisi Covid-19, la guerra in Ucraina, fino ai conflitti in Palestina ed Israele, vicende che hanno sferzato le ideologie più mature, il senso civico più formato, le esperienze più vivaci.
Tuttavia è proprio in questi contesti avversi che il carattere riformatore liberale dovrebbe prendere il passo: come in quel fatidico 14 gennaio 2023, ciascun individuo, senza prefiggersi un obiettivo determinato, dovrebbe essere consapevole di un’impellente e necessaria revisione della realtà politica nazionale ma senza un fine ultimo, per trovare il modo di garantire a ciascun individuo la massima libertà possibile e compatibile con la pari libertà altrui, sulla scorta del pensiero di Oliver Wendell Holmes che in merito affermava che “il mio diritto di agitare il pugno in aria finisce dove inizia il naso altrui”.
Il successo dei liberali democratici europei è proprio questo: il rispetto delle idee e la neutralità delle scelte, condizionate soltanto da una morale liberale.
La molteplicità degli eventi culturali e politici tenutisi e l’esposizione elettorale nell’ultimo anno dimostrano le doti della Costituente e le risorse per il futuro.
La performance attesa. Cosa attenderci? Se è vero che il contrattualismo ci contraddistingue, potremo anche ritenere raggiunta una prima performance specifica del mandato con l’ingresso nella famiglia ALDE e Renew Europe.
Ma dovremo anche tenere a mente ulteriori circostanze congiunturali che si manifesteranno a venire e che, di certo, ci porranno come un’entità più debole rispetto ai partiti di lungo corso. Nonostante la qualità intellettuale, è vero che L.D.E. sia nato con minore voce ma non per questo con minore enfasi, minore forza ed effetto. E’ un partito di contenuti, quindi un partito sicuramente con migliori prospettive di altri; ma alle volte esprime contenuti può non significare avere senso pratico.
Il test reale, la concretezza, il senso pratico della cosa pubblica, è infatti l’experiment in living che sarà in futuro richiesto ai liberali affinché non ricadano nel perenne raffronto tra repubblicanesimo e ortodossia. L’idea di bene e di benessere, di morale e di welfare, dovrà essere perseguita con serenità, persino privando una parte dell’ideologia a vantaggio della verità di cui si può discutere, muovendosi contro le mere formalità.
I tempi sono maturi. Il test delle elezioni europee del 2024 sarà un valido scenario di gioco in virtù delle sfide nazionali e globali che si stagliano all’orizzonte: occorrerà certamente un rigore contenutistico tale da ridurre i vari populismi alla retorica della dubitatio oltre ad un peculiare senso pratico che possa muovere il riformismo richiesto tra la complessità ed il semplicismo, e viceversa. La riforma della Giustizia, la riforma del mercato, la riforma fiscale, l’immigrazione e le politiche industriali sono questioni importanti.
Ancor più importante sarà però l’atlantismo, oggi minato dai conflitti e dalle politiche sugli armamenti; una questione che sta scindendo concretamente la società occidentale in diverse fazioni contrapposte e richiederà soluzioni in buona parte autarchiche.
Il futuro. E’ chiaro che il multiculturalismo dovrà prima o poi schierarsi a favore di una dottrina preminente. I liberali democratici europei hanno quindi l’obbligo di guidare l’interesse nazionale verso l’inviolabilità dei diritti. Con il dovuto rispetto per la società civile più disparata, i liberali devono essere consapevoli di essersi assunti il compito di ripristinare uno Stato di diritto con le proprie ineludibili peculiarità che sono anzitutto l’interesse privato e la libertà collettiva.
Angelo Mucci