Cosa vuol dire esser laico?
Vasto programma. Però, per quel che è utile qui, si può tentare di fissare alcuni punti fermi. Innanzitutto, il termine laico – che qui per limiti di spazio utilizzerò come sinonimo di laicista, assumendomene la responsabilità – è diffuso nei paesi di lingua latina.
Per un americano o un inglese, infatti, quel che noi chiamiamo problemi della laicità sono affrontati sotto la categoria del secularism.
Il laicismo, poi, non si esaurisce nell’anticlericalismo tardo ottocentesco.
Quella reazione, infatti, era figlia della necessità di difendere le acquisizioni del moderno stato dalle resistenze delle gerarchie ecclesiastiche – in specie: cattoliche – contro l’affermazione cavouriana della libera Chiesa in libero stato.
Ed è così che può comprendersi non solo il folklore delle pagine anticlericali dell’Asino di Podrecca o le splendide pagine in cui Croce, nella sua monumentale Storia d’Europa del Secolo Decimonono, definiva la religione della libertà come lo scontro tra “due fedi religiose opposte” ricordando come il liberalismo, che sotto questo profilo non può tenersi distinto né allora né oggi dal laicismo, non fosse avversato ma anzi favorito dalle confessioni protestanti “diventate prima razionalistiche e illuministiche e in ultimo idealistiche e storicizzanti … tanto che la Chiesa romana metteva in un sol fascio protestantesimo, massoneria e liberalismo”.
Ma il laicismo non è una fede. E’ un approccio, un metodo. La cultura laica, infatti, è fortemente tributaria delle filosofie razionalistiche ed immanentistiche che rifiutano ogni verità rivelata come tale assoluta e definitiva.
Viceversa, deve affermare la libertà di ricerca delle verità relative, tramite la libera discussione e l’esame critico.
A riprender le pagine di colui che si firmava Persecutionis Osore, il laico afferma il principio secondo cui “lo stato nulla possa in materia puramente spirituale e la Chiesa nulla in materia temporale” (Locke, Epistola de Tolerantia, 1689).
Detto altrimenti: diversi sono i fini della Chiesa e diversi sono quelli del potere civile dello stato: mentre la prima mira a conseguire la vita eterna tramite il culto di Dio, le leggi ecclesiastiche non devono concedere i beni terreni né ricorrere alla forza che appartiene solo al magistrato civile, ovvero, per metonimia, alla legge civile.
La forza del potere ecclesiastico è solo quella della persuasione per ottenere il consenso individuale e l’unica sanzione è di cessar di far parte di quella comunità che è la Chiesa.
Si dirà che se l’approccio laico si oppone a tutto ciò si apre la porta al relativismo, con i rischi che questo comporta nel momento in cui si voglia dedurre che pertanto ogni concezione etica vale quanto un’altra.
Tale accusa è falsa per due ordini di ragioni.
Da un lato, la stessa distinzione tra autorità spirituale della Chiesa e autorità temporale dello stato, da cui deriverebbe la reciproca inviolabilità delle rispettive giurisdizioni non era solo riconosciuta dalla patristica, ma venne persino icasticamente raffigurata alla fine del V secolo da Papa Gelasio I con l’immagine delle “due spade” che non possono esser impugnate da una sola mano.
Dall’altro lato, quel rischio relativista non è più tale qualora si ponga mente che il relativismo del laico altro non è che il riconoscimento del pluralismo delle concezioni etiche.
Ma per un laico non è poi vero che da tale pluralismo si giunga al postulato della parificazione di ogni etica.
Lo stesso Pascal ricordava come “il furto, l’incesto, l’uccisione dei figli e dei padri, tutto ha trovato posto tra le azioni virtuose (…) singolare giustizia che ha come confine un fiume!
Verità di qua dei Pirenei, errore di là”. Le proposte etiche, infatti, non si fondano né si confutano: si accettano o si respingono. E questo avviene perché mai un laico potrebbe affermare che dai fatti si possano derivare delle norme prescrittive secondo l’insuperata legge di Hume. Tale inderivabilità, infatti, è l’architrave della libertà di coscienza.
E si giunge così al punto fondamentale per il laico: la libertà di coscienza individuale.
La vera opposizione del laico, infatti, non è contro questa o quella fede o confessione. Per questo sarebbe persino errato parlare di contrapposizione tra laici e cattolici.
Il vero avversario del laico (non credente, cattolico e credente in altra confessione) è chi afferma la confusione tra società civile e società ecclesiastica pretendendo che le leggi dello stato recepiscano sostanzialmente i principi di un’etica perché coincidenti con l’ethos diffuso della nostra comunità.
L’avversario del laico è chi afferma, come è avvenuto in Italia, che “con questa legge abbiamo fatto un favore al Santo Padre” (Rocco Buttiglione all’approvazione della legge sulla fecondazione assistita).
L’avversario del laico è chi oppone un quale precetto delle gerarchie ecclesiastiche contro l’introduzione in Italia di una legislazione che disciplini il fine vita.
E si badi: non un principio religioso viene opposto, ma un precetto dettato dalle gerarchie ecclesiastiche, chè tra le due cose corre enorme differenza.
D’altronde, fu un martire della Chiesa, Thomas More, che non oggi, ma nel 1500 nella sua Utopia riconosceva come conforme ai principi cristiani l’eutanasia come gesto di pietà umana.
La democrazia liberale che sta a cuore del laico, e dove l’aggettivo è più importante del sostantivo, è tale in quanto, indipendentemente dalla forza dei numeri ed a prescindere dal tenore dei convincimenti religiosi, riconosce a tutti, ma proprio a tutti, credenti e miscredenti, cattolici ed ebrei, atei e protestanti, le stesse libertà civili e politiche.
Nell’ambito di tali libertà ciascuno poi sarà libero di scegliere la propria strada per il Paradiso, per chi ci crede, secondo il proprio vero, il proprio giusto come dettato dalla propria coscienza individuale.
Si chiude così il cerchio: sebbene non valga la reciproca, nessun liberale è tale se non è laico. Diversamente correrebbe l’errore irreparabile del principio di libertà: il pluralismo dei valori e la consapevolezza che l’eresia di oggi potrebbe esser la verità di domani.
Poscritto: se poi un qualche sedicente liberale eletto in un qualche Parlamento di fronte alla necessità di legiferare in temi eticamente sensibili dimentica che la libertà di coscienza che deve esser tutelata è quella del cittadino e non quella del deputato, vorrà dire che non ha compreso l’essenza del liberalismo e della laicità.