C’è una ragione preminente, per la quale stare energicamente dalla parte del ministro della Difesa Crosetto e del capo di stato maggiore della Difesa ammiraglio Cavo Dragone.
Non solo per i giudizi espressi nel libro del generale Vannacci, e per la necessità di intervenire senza esitazioni tutte le volte che nel discorso pubblico chi veste la divisa confligga frontalmente con i princìpi e i valori garantiti in Costituzione, visto che è alla Costituzione e alla Repubblica che i militari giurano fedeltà.
La libertà d’opinione citata come valore assoluto dai difensori di Vannacci non incontra il solo limite che impone l’autorizzazione preventiva per qualunque notizia o opinione che riveli circostanze relative alla sicurezza nazionale. C’è un limite assoluto che viene prima: è il rispetto assoluto della Costituzione in ogni suo singolo articolo. Non è possibile per alcun militare propugnare “verità al contrario” quando si tratta di eguaglianza dei cittadini a prescindere da sesso e orientamenti sessuali, etnia o religione.
Ma c’è poi un’altra ragione essenziale, per cui è giusto che i vertici istituzionali della Difesa intervengano in casi simili senza esitazioni.
Una ragione così istituzionale che avrebbe dovuto silenziare ogni difesa del generale da parte di esponenti del governo, in primis da parte del vicepremier Salvini. È questa: il prezzo altissimo che la credibilità della Repubblica ha dovuto pagare per una lunga storia trentennale di opacità, deviazioni e infedeltà da parte di apparati di sicurezza e intelligence militare che finirono per espandersi sempre più vastamente in carriere e vertici di tutte le forze armate, nonché nei più delicati gangli del governo civile.
E’ una storia lunga e complessa, nata al sorgere della Guerra Fredda dalle direttive segrete impartite da vertici di governo che, per evitare svolte comuniste, legittimarono collaborazioni segrete tra Forze Armate e civili anticomunisti. E che poi dirazzò, dopo lo sferragliare di sciabole con il Piano Solo del generale De Lorenzo nel 1964, nella ravvisata sempre più estesa necessità di “attività militari extra istituzionali”, come davanti al giudice nel processo contro “La Rosa dei venti” le definì il colonnello in forza al Sifar – l’allora intelligence militare -, Roberto Rocca, “suicidato” due mesi dopo la sua deposizione.
Anche il primo libro neofascista pubblicato in Italia nel 1966 sulla necessità che le forze armate tirassero su la testa rispetto alla deriva a sinistra in atto con l’apertura al PSI, “Le mano rosse sulle Forze Armate”, risultò poi nei processi commissionato e sostenuto dal generale Aloja, capo di stato maggiore della Difesa dal 1966 al 1968.
Cominciò così la ridda infernale che portò la fallito golpe Borghese del 1970, ai massicci depistaggi dell’intelligence militare e civile dalla strage di piazza Fontana alle bombe di Trento nel 1971, all’attentato di Bertoli in Questura di Milano nel 1973, alle stragi di Brescia e dell’Italicus nel 1974, a quella di Bologna nel 1980 (postilla: ancora una volta furono i vertici deviati del Sismi a confezionare ai magistrati la tesi che i responsabili fossero i terroristi di destra dei NAR, sviando all’attenzione dalle porte spalancate che i servizi avevano riservato agli attentati e alla copertura dei neofascisti di Ordine Nuovo di Freda e Delle Chiaie In tutti gli anni precedenti, e non a caso gli elementi a conferma della presenza a Bologna di Mambro-Fioravanti vennero da ex esponenti in carcere di Odine Nuovo).
Il risultato di tutto questo fu che, quando nel 1981 il capo dello Stato Pertini affidò al repubblicano Giovanni Spadolini l’incarico di primo premier non Dc della storia repubblicana per impedire che la lista della P2 restasse nei cassetti, nessuno davvero restò sorpreso leggendo che, dei 962 appartenenti alla loggia deviata di Licio Gelli, ben 119 erano alti ufficiali delle forze armate tra cui quasi tutti quelli che vi avevano ricoperto ruoli apicali nei 15 anni precedenti, oltra a frotte di diplomatici, dirigenti di Polizia, capi di aziende pubbliche, parlamentari e centinaia di figure di spicco della società italiana.
Iniziò allora la bonifica, che fu lunga e dura, e che non riuscì però ad assicurare piena chiarezza nelle sentenze giudiziarie su ciascuna di quelle stragi. Col risultato che l’Italia continua a non avere una storia condivisa di quei lunghi terribili anni bui. Ecco perché non bisogna avere dubbi: Crosetto e Cavo Dragone fanno benissimo ad adoperarsi con forza, non c’è più posto in Italia per “attività militari extra istituzionali ed extra costituzionali.
di Oscar Fulvio Giannino
Il Foglio, 25/8/2023