Gli “extraprofitti” delle imprese energetiche hanno dominato il dibattito pubblico e scatenato l’inventiva tributaria nel 2022.
Nel 2023 sono sostituiti dagli “extraprofitti da inflazione”. Da settimane, sui media ardono pagine con esempi a titoli cubitali. La politica ha subito risposto: attivato al MIMIT il Comitato Allerta Rapida sui prezzi, il MEF studia una misura bastone-carota sui profitti bancari. generati da aumento tassi della BCE: o lo retrocedono ai clienti o pagano più tasse.
C’è un dato oggettivo: l’Italia a bassissima produttività venticinquennale regge sui mercati deflazionando i propri salari rispetto ai Paesi UE in cui la loro crescita è significativa, grazie a una produttività ben superiore alla nostra.
Così anche nel 2022, dice l’OCSE, il morso dell’inflazione ha arrecato agli italiani la perdita maggiore di reddito reale, con un altro -3,5%.
Dall’altra parte, nei ranking e sondaggi internazionali siamo il Paese avanzato i cui cittadini meno accettano il mercato, e anche i media sparano titoli sulla base della tessa convinzione.
“Il beneficio dell’individuo non origina il beneficio della comunità, è vero il contrario: solo il beneficio della comunità genera il beneficio dell’individuo, altrimenti l’egoismo dell’individuo lacera la comunità”. Se in un sondaggio chiedessimo “chi l’ha detto?”, le risposte convergerebbero nel riconoscere che è proprio così, chiunque l’abbia detto la colpa del capitalismo è questa e gli “extraprofitti” delle imprese son lì a dimostrarlo. C’è il piccolo problema che a dirlo fu Adolf Hitler, il 13 novembre 1930. Questa tesi è il fondamento non solo di ogni totalitarismo, ma di ogni ingenua convinzione che sia lo Stato, a dover decidere prezzi e ripartizione dei redditi.
Guardiamo i numeri, per capire dove sia o no il famigerato “extraprofitto”.
Partiamo dalla BCE, che ha più volte richiamato a sostegno dei rialzi dei tassi il fatto che dopo il sisma energetico i profitti delle imprese non siano scesi, e oggi esse continuino a ricaricare sui clienti rincari superiori agli andamenti dei costi. Assumendo come indicatore di profitto il margine operativo lordo, in effetti nel 2022 quello delle imprese nell’euroarea è salito del 12% rispetto al 2021 e del +14% sul 2019, rispetto al +8% dei salari nel triennio.
Il fenomeno è particolarmente accentuato nell’agricoltura con MOL +30% sul 2021 e nel commercio con +28%, rispetto all’industria (senza costruzioni) che comunque ha segnato +10%. Tutto ciò a fronte salari che nell’euroarea dal 2019 hanno conseguito aumenti molto più contenuti, tra il +6% nel triennio dell’industria e il +9% dell’agricoltura.
Ma tali dati riguardano appunto l’eurozona, sono spinti in alto dal peso della Germania sul totale: il MOL totale dell’economia tedesca è cresciuto del 18% nel 2022 rispetto al 2019 e dell’11% rispetto al 2021. Nella manifattura tedesca il MOL è cresciuto del 14% nel 2022 rispetto al 2019.
Ma vale lo stesso in Italia? No, da noi i dati sono del tutto diversi.
Nella nostra economia il MOL complessivo 2022 è solo del 6% superiore al livello prepandemico 2019.
Esattamente come i salari italiani: dal 2019 al 2022 saliti della stessa percentuale. Ma l’andamento dei settori è diverso. Nelle costruzioni italiane il MOL 2022 è cresciuto +43% sul 2019 rispetto a salari saliti solo +7%. Ma rispetto al 2021 l’avvento nel 2022 della frenata su bonus e superbonus ha frenato i profitti: MOL solo +6% ispetto al 2021.
Il commercio ha registrato un MOL 2022 +19% rispetto al 2019, mentre salari solo +6% nel triennio, ma la crescita 2022 è stata solo +4% sul 2021 perché l’inflazione morde i consumi.
La manifattura – sempre dominante negli esempi dei media- è lontana anni luce dall’avidità attribuitale: nel 2022 quella italiana ha registrato un MOL di -9% sul 2021 e -5% sul 2019, rispetto a salari nel triennio cresciuti invece del +5%. Nell’ agricoltura sì, c’è un problema: il MOL di settore è salito di 12 punti rispetto al 2021, e di 20 punti sul prepandemia, a fronte di aumenti salariali triennali pari solo al +5%.
Nella PA e settore pubblico allargato a produttività negativa, il MOL stimato 2022 segna -6% nel 2022 rispetto al prepandemia, con aumenti salariali nel triennio del +8%. Tanto, paga il contribuente.
Mentre, per venire alle banche nel mirino, le osservazioni andrebbero molto più utilmente fatte sulle prime due trimestrali 2023, perché il MOL aggregato delle attività finanziarie italiane 2022 vede sì un baldanzoso +45% rispetto al 2021, ma ancora inferiore del 2% sul 2019.
E su questo si basa la replica dell’ABI al governo: “ora vedete extraprofitti ma dimenticate che se oggi non trasliamo al cliente maggior remuneratività dei loro depositi è perché negli anni di tassi negativi non abbiamo imputato loro il fatto che i depositi ci costavano”.
Scarne conclusioni.
Politici e media mirino bene le loro accuse di avidità, dati alla mano. La manifattura italiana ha compresso i margini, non ha scaricato e terra l’integrale degli aumenti dei costi di produzione ma ha aumentato l’efficienza per ridurli.
Una grande questione salariale esiste, ma in settori ben precisi e non nella manifattura.
Infine, beati i Paesi a produttività maggiore, non costretti alla deflazione salariale: senza produttività non sono certo i decreti del governo a decidere il reddito reale degli italiani.
La dannazione vera non sono i profitti aziendali, ma che lo Stato pensi più che altro a tassarli scoraggiandone l’investimento in innovazione e produttività.
Di Oscar Fulvio Giannino