Trascorsa una settimana e oltre dal voto regionale lombardo e laziale, non ci si capacita dell’ottimo risultato del partito dell’astensione. Eppure, il rimbombo dei passi nei corridoi vuoti delle scuole aveva fatto ben capire che le schede elettorali avrebbero ricevuto pochi colpi di timbro. Aiutati dal silenzio, gli scrutinatori distinguevano dalla cabina la mano sicura da quella insicura e un orecchio allenato poteva contare le schede destinate a restare in bianco. In passa- to votare è sempre stato un esercizio svolto con entusiasmo e serietà per rispetto di coloro che lottarono, anche con la vita, affinché diventasse un diritto. Al giorno d’oggi sembra essere diventato un dovere facoltativo che, pur restando un diritto, offre ampi margini per disertare le urne. Due considerazioni. Sono convinto che il partito del non voto sia da analizzare con cura. Non credo che siano tutti rimasti a casa per colpa della politica o perché non si sono sentiti rappresentati. Ritengo che soprattutto i giovani non si siano recati ai seggi per un fatto oramai divenuto culturale: se non hanno la scheda elettorale è perché non la possiedono neppure i loro genitori. Inoltre, arrivati alla maggiore età, non vengono invogliati a partecipare al voto né dai genitori né dalla scuola. Hanno poca conoscenza della politica, se non per gli accadimenti negativi di chi ha contribuito a distruggerne la credibilità con atti osceni di malaffare e malgoverno. La seconda considerazione riguarda il modus stesso del fare politica. In tutto ha
votato circa il 40% degli aventi diritto. Se l’affluenza, rispetto alla tornata elettorale del 2018, è crollata di 30 punti lo si deve anche alla mancanza di luoghi in cui incontrarsi per conoscere e imparare, al fine di confrontarsi. La democrazia senza partecipazione scarseggia sia di idee che di valori. In questi giorni si è cercato di giustificare un risultato senza precedenti, facendo finta di non vedere la frattura fra società e politica, fra cittadino e istituzioni. Quando ammetteremo che in questi ultimi decenni è venuto meno il contatto umano – quindi il dialogo e l’ascolto – si potrà forse ricominciare dalle piazze, dai mercati, dai luoghi della socialità. Lì troveremo i commercianti, gli artigiani, i pensionati, gli studenti e i disoccupati. Purché, beninteso, si capiscano i loro problemi e si abbia poi qualcosa da dire.
Matteo Grossi, La Ragione, 23.02.2023