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La settimana corta e la presunzione di decidere dall’alto

Secondo la Bibbia, Dio impiegò sei giorni per creare il mondo nella sua interezza e il settimo si riposò. Dopo secoli di travagli, l’umanità sembra convinta che non valga la pena cercare di imitare 1’Onnipotente e il nuovo magico slogan sta diventando quello della settimana lavorativa di 4 giorni.

I sindacati spingono sul punto anche se con diversi accenti. La Cgil di Maurizio Landini la fa semplice e propone 4 giorni a parità di salario, La Cisl, in particolar modo tramite il segretario del metalmeccanici, Roberto Benaglia, invece spiega che non c’è bisogno né di leggi né di contratti collettivi nazionali, ma di negoziati aziendali che tengano conto dei guadagni di produttività e si adattino alle situazioni specifiche.

Cerchiamo di andare con ordine.Quando si parla della settimana super corta si intendono cose molto diverse, riconducibili a tre categorie. In primis la distribuzione dello stesso numero di ore lavorative (in ipotesi 40) in quattro giorni invece che in cinque. B la soluzione adottata in Belgio, In secondo luogo, si prospetta una riduzione del 20% dell’orario di lavoro ma con una corrispondente diminuzione del salario, È quanto hanno sperimentato alcune aziende giapponesi o la multinazionale Dell.

Infine, ed è la proposta più controversa, meno giorni lavorativi a parità di salario. Ci sono poi soluzioni intermedie, tipo 36 ore invece di 40 in 4 giorni e mezzo o in soli 4 oppure lo scambio tra aumenti salariali in cambio di più giorni liberi. Vediamo di affrontare il nodo gordiano, vale a dire quello dei 4 giorni a parità di salario. I favorevoli a tale soluzione citano gli effetti positivi sulla salute, lo stress e la qualità della vita dei dipendenti, supportati da ricerche empiriche e sondaggi. Confesso che mi sarei stupito del contrario: anche chi scrive se potesse dedicare più tempo a famiglia, svago, riposo e attività fisica a parità di retribuzione sarebbe più contento, Ma questa grande scoperta fa venire un po’ in mente gli aforismi paradossali di Catalano, un personaggio comico degli anni ‘8O: “È meglio essere ricchi, belli, in salute, felici e intelligenti che poveri, brutti, malconci, infelici e stupidi” (oggi probabilmente la polizia del pensiero impedirebbe battute come queste).

Un’altra conseguenza incoraggiante sarebbe la diminuzione dell’inquinamento e dei consumi di energia per le imprese, nonché degli ingorghi stradali. A prescindere dal fatto che tale risultato lo si può ottenere lo stesso con lo smart working e che in alcune aziende 4 giorni di presenza del lavoratore non comportano alcuna chiusura (ospedali, case di ricovero, alberghi, pubblici sportelli, banche, altoforni e quant’altro), inoltre l’eterogenesi del fini potrebbe portare a più lavoratori che, invece di prendere la metropolitana e i mezzi pubblici per muoversi, usino la macchina nell’addizionale giorno di libertà (tra le attività sostitutive del lavoro il 54% degli intervistati dalla Henley Business School impiegherebbe il giorno di libertà in più per fare shopping, il 23% per un secondo lavoro, il 39% per mangiare fuori al ristorante, il 43% per andare al cinema) e tengano accesa l’aria condizionata a casa. Su questo punto sono necessarie solide evidenze empiriche ancora mancanti.

Più interessante la statistica che emerge da uno studio inglese secondo il quale la settimana super corta ha diminuito i livelli di assenteismo da 2 a 0,7 giorni al mese. Questo dato, se confermato, ridurrebbe i giorni persi mensili di circa il 30% (1,3 giorni su 4,4) e sarà da approfondire. Infine, in varie situazioni (in Islanda, ad esempio, dove però si è tolta mezza giornata, in Giappone e in Inghilterra) si sono registrati aumenti di produttività tali da compensare, in modo più o meno completo, i giorni in meno.

Sotto questo profilo, però, gli scettici fanno notare che in un esperimento condotto in Svezia, ove sono state concesse giornate lavorative di 6 ore alle infermiere di un ospedale, non solo non ci sono stati visibili aumenti di produttività, ma l’amministrazione pubblica ha dovuto assumere altre 17 persone perché ai malati l’assistenza serve 21 ore su 24. Quindi oltre ad un servizio più spezzettato c’è stato un evitabile aggravio delle casse pubbliche.

La contro obiezione che così si è aumentata l’occupazione è bislacca: assomiglia al paradosso di Keynes degli operai assunti per scavare e riempire buche perché così si crea Pil.

Peraltro, assumendo che rimanga aperta la scelta di mantenere i 5 giorni lavorativi per chi li preferisce, nella ricerca della Henley Business School affiora il timore che si creino conflitti generazionali tra dipendenti stakanovisti e chi è percepito come poco attaccato al lavoro. Addirittura, il 91% delle piccole imprese ritiene sia molto difficile offrire la settimana di 4 giorni perché questo inciderebbe negativamente sul servizio ai clienti.

Insomma, nel mondo flessibile che ci apprestiamo a vivere, si applica sempre la lezione di John Stuart Mill, il quale sosteneva che gli individui con la conoscenza delle proprie esigenze sono meglio in grado di decidere nel proprio interesse rispetto al governo.

Saranno imprenditori e maestranze a negoziare e attraverso una sperimentazione diffusa si capirà quale sia il modello più efficace e quali siano le sue esternalità positive o negative.

Fare di più sarebbe presuntuoso.

A. De Nicola 

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