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La vera lezione di Orbán a Meloni

Breve storia felice: Quando a inizio giugno il summit dei ministri degli Interni europei ha votato a maggioranza qualificata la riforma delle politiche dell’immigrazione Giorgia Meloni non poteva contenere la sua gioia. Muovendosi con abilità tra le posizioni aperturiste della Germania di Scholz e i proclami di chiusura di Ungheria e Polonia, la presidente del Consiglio era riuscita a portare sulle sue posizioni Paesi come l’Olanda o la Danimarca e alla fine ne era venuto fuori un compromesso che soddisfaceva molte aspettative italiane. In sintesi, approccio più severo nei confronti dei richiedenti asilo e obbligo di redistribuzione degli immigrati in Europa con l’alternativa per i Paesi che non li vogliono accogliere di pagare almeno le spese per il loro mantenimento.

Quando nel pre-summit di giovedì i suoi amici ideologici Orbán e Morawiecki hanno rimesso tutto in discussione, sia in riunione che ui social, per poi impedire una presa di posizione comune, Meloni dovrebbe averne ricavato tre lezioni.

La prima è che l’alleanza tra nazionalisti è sempre problematica. Francia e Germania se le sono menate di santa ragione mentre in entrambi i Paesi imperversavano lo sciovinismo e il pangermanesimo.

E, per sconfiggere la Germania di Hitler, Stalin non fece appello al Comunismo. La Seconda guerra mondiale è per l’appunto “la Grande Guerra Patriottica”. Perciò, la dichiarazione finale della premier di «non essere delusa» verso chi difende i propri interessi nazionali è sembrata fuori luogo.

La seconda è che il modo migliore per ottenere un successo diplomatico è quello di muoversi…diplomaticamente. È necessario creare sufficiente consenso, pazientare, essere fermi sui punti essenziali, ma flessibili su quelli non fondamentali.

Esercizio che è riuscito bene all’Italia l’8 giugno. La terza è che ci sono due ricette infallibili per essere emarginato: comportarsi sempre da bastian contrario e rinnegare gli accordi presi. In questo Orbán è un campione: è riuscito a opporsi alla politica più importante del momento per la Ue, cioè l’appoggio all’Ucraina, nonché a chiedere, contro ogni ragionevolezza, che la decisione sull’immigrazione presa come previsto a maggioranza qualificata dovesse essere adottata all’unanimità. È ormai il paria dell’Europa e sopravvive solo con il potere di ricatto, avendo creato un’unanime ostilità nei confronti del suo Paese.

Ebbene, vediamo se è possibile trarre conseguenze da queste tre incontestabili lezioni. Prendiamo il balletto sul Mes. Dimentichiamoci per un momento il merito, sul quale persino il ministero dell’Economia guidato dal leghista Giorgetti è d’accordo: si tratta di un’ulteriore salvaguardia per le crisi bancarie sia italiane sia europee, che comunque è nostro primario interesse evitare per gli effetti sistemici che potrebbero avere. Basti ricordare che le nostre banche hanno ballato per le difficoltà di un istituto svizzero e di uno della Silicon Valley che fortunatamente sono state risolte dalle autorità locali. Il continuo rinvio, giustificato in modi sempre diversi (meglio indebitarsi con gli italiani, dice Salvini), alla fine è legato ad altri dossier sui quali l’Italia vorrebbe soddisfazione. Peccato che il Mes sia stato già approvato dai governi precedenti e da tutti quelli europei (che senza il nostro placet non lo possono attivare) e che gli altri dossier siano invece ancora in itinere.

Altro esempio della nostra irritante riluttanza ad adempiere agli obblighi riguarda la famosa liberalizzazione dei balneari, per la quale al governo manca solo il Consiglio di Sicurezza dell’Onu che lo obblighi alla riforma, perché tutte le altre istituzioni lo hanno già fatto: Commissione Europea, Corte di Giustizia, Corte Costituzionale, Consiglio di Stato.

Sul Pnrr, poi, ci diamo la zappa sui piedi. Nonostante l’alternativa di proclami variabili tra «non siamo in ritardo» ed «è colpa del governo Draghi», siamo riusciti a mancare il completamento delle condizioni necessarie per il pagamento della terza rata di 19 miliardi e la Commissione, per evitare turbamenti politici, si sta dimostrando flessibile, ma con quale simpatia nei nostri confronti è facile immaginarlo.

Possiamo fermarci qui. Nelle relazioni internazionali, come in quelle d’affari o personali, la reputazione e l’affidabilità sono imprescindibili. Al di là delle fissazioni ideologiche o della ricerca di consenso spicciolo, il caloroso consiglio al governo è di studiare bene Orbán e poi fare l’esatto contrario.

Di Alessandro De Nicola

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