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Liberali unitevi contro i peronismi italiani

Capitano periodi in cui priorità impreviste prendono forzosamente il sopravvento sulla quotidianità organizzata.  

Ergo, ti si riduce la produttività di nuove idee tratte dalla congerie di letture cui sei abituato da decenni, azzeri molti impegni che avevi preso, ti passa ogni voglia di seguire i social e di scrivervi.  

Tale premessa serve a un solo scopo: non coinvolgere in alcun modo gli amici del Foglio – ai quali tengo molto – in questo mio urlo di buon anno. Non è un ululato alla luna, al massimo un “ululì, ululà alla Frankestein Junior.

I lupi sono fantastici: minoritari, forte spirito di comunità, enorme senso di responsabilità verso le proprie generazioni future. Gli umani hanno appiccicato loro il ruolo di mostri feroci sol perché col cavolo, sono capaci delle stesse virtù.

Ed è dunque possibile mai, cari pochi residui lupetti liberali italici, che per l’ennesima volta vogliate solo limitarvi ad assistere alle empie ridicolaggini di questa nave di folli che nel nostro Paese si definisce bipolarismo?

A più di 30 anni dalla (per me strameritata) caduta della cosiddetta Prima Repubblica, che cosa cavolo deve ancora capitare per far passare definitivamente a ciascuno di voi la voglia di considerare un eventuale impegno politico solo se collegato a questa destra e questa sinistra?

Ma davvero il problema italiano è se alle europee Giorgia Meloni riuscirà a surclassare di molto Salvini? O se la Schlein diventerà allieva o maestra di quel ciceuracchio da strapazzo che per i 5S ha governato sia con Lega sia col Pd?

Un Paese che ha visto destra e sinistra difendere la più colossale follia in termini di finanza pubblica, cioè bonus e superbonus edilizi per i ricchi, e che se poi abbatte (buona cosa) il reddito di cittadinanza non è oggi in grado di dare cifre credibili su quante centinaia di migliaia di italiani hanno imboccato la via alternativa proposta da chi governa?  

Un bipolarismo in cui chi aveva trattato la modifica del MES in aula poi vota no alla ratifica, e con una destra che si accoda sbeffeggiando il suo ministro dell’Economia che era favorevole?

Abbarbicati a difesa di esigue minoranze di rentiers a vita tramite proroga eterna delle concessioni pubbliche, e con persino un’associazione – Assobalneari – iscritta a Confindustria che attacca il Capo dello Stato, che onora il suo mandato ricordando a tutti che le proroghe sono contrarie al diritto europeo?

Due giorni fa Giuliano Amato – giurista dal quale ho imparato negli anni moltissimo – in una sua ampia intervista ha affermato che anche in Italia il populismo miete successi per effetto del maxi fallimento del trickle-down dei tempi di Reagan e Thatcher, cioè dell’illusione che tagliare le tasse ai ricchi producesse effetti benefici per tutti, rilanciando l’economia e attenuando i gap di reddito.

Ma se si parla dell’Italia, è una sciocchezza colossale. Qui non abbiamo mai avuto governi mercatisti radicali alla Reagan e Thatcher. La sinistra visse un breve flirt con concorrenza e mercato convinta che servisse a sconfiggere Berlusconi, per poi abiurarlo e tornare allo statalismo radicale: l’antirenzismo si nutre da anni di questo.

E Schlein ne è l’apoteosi. Qui abbiamo raddoppiato i poveri, raddoppiando al contempo la spesa socio-assistenziale a carico della fiscalità generale: nefandezze he riescono solo in un Paese senza timone e senza priorità, né di crescita, di abbattimento del debito pubblico, né tanto meno di riduzione dei gap, mai come oggi gravi tra territori, generazioni e generi.

Scuola e Università falliscono nell’offerta formativa non per il trionfo del privato voluto da perversi Chicago boys, ma perché da tutti concepite al servizio di chi ci lavora, non dei giovani.

Per sconfiggere i peronismisenza-Peron che hanno riportato l’Italia a crescita zerovirgola – malgrado una manifattura che altri grandi Paesi europei possono solo sognarsi la notte – c’è più verità nel linguaggio radicale usato in economia (non sulle giunte militari di torturatori, sui diritti) da Javier Milei in Argentina, che negli stanchi filosofemi che animano gli sparuti confronti tra liberali nostrani per giustificare le proprie incomprensibile rotture, divisioni e caudillismi personalistici.

La contesa del bipolarismo italico è un’eterna riedizione di uno dei più misconosciuti poemi fondativi dell’identità patria: La Secchia Rapita di Alessando Tassoni, la comica lotta tra bolognesi e modenesi in cui primeggiano figure come il Conte di Culagna – Salvini e Conte a gara per il trofeo – e che finisce poi con una millesima mediazione ad opera adi un legato papale.

Svegliatevi, pochi residui lupetti liberali. Persino John Maynard Keynes, richiesto se fosse un laburista o un conservatore, rispose che no, bisognava mettere ogni impegno a favore di una terza forza che rifuggesse dagli orrori di sinistra e destra.

Lo scrisse quasi un secolo fa, nel 1925: una delle non troppe volte in cui aveva ragione. Tra i cinque temi per cui voleva una terza forza, troneggiavano i diritti (anche quelli legati a sesso e bioetica e famiglia).

In questo Paese che oggi preferisce i naufragi ai salvataggi in mare, dopo trent’anni d’incapacità in ogni seria politica di integrazione dei profughi, e in cui chi governa è apparentato coi peggiori ceffi in Europa, e in un’Europa che crede di poter imporre i propri standard su nuove tecnologie e transizione green dimenticando che la stragrande maggioranza dei Paesi al mondo li rifiuterà, in un Paese così chi si dice liberale la pianti di guardare a questa destra e sinistra, e rischi invece come i lupi la via della foresta, alle prossime europee e politiche.

Le alternative non si costruiscono con chi vincerà, ma iniziando a temprarsi in sconfitte che parlino di un’Italia irriducibilmente diversa.      

Di Oscar Fulvio Giannino, su Il Foglio (10.1.2024)

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