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L’incoraggiante incontro dei liberali a Milano che porterà alla fondazione di un partito unitario

In un auditorium pienissimo in via Hoepli si è percepita la consapevolezza di una grande occasione da cogliere per dare all’Italia un’alternativa valida al bipopulismo: Renzi, Calenda e Della Vedova hanno mostrato di remare nella stessa direzione e tutta la giornata non ha avuto deviazioni dal tema comune

Non era un parto semplice la nascita a Milano (e dove se non qui?) dell’associazione liberaldemocratica che punta a irrobustire (energie e idee) un polo che non abbia più bisogno di definirsi terzo a qualcun altro.

I genitori liberali temevano un po’ tutto, a cominciare dalla partecipazione (verranno, non verranno?) di una vasta platea potenziale ormai talmente scoraggiata dall’essere quasi agnostica. Scommessa vinta subito: quattrocentocinquanta posti a sedere, milletrecento adesioni, Digos allertata per trattenere i ritardatari sotto i portici di via Hoepli.

Ma il problema principale era un altro: si capirà cosa è, e cosa vuole, questo raggruppamento? Oltretutto si ispira a una cosa che in Italia non c’è: Renew Europe, un partito del Parlamento Europeo, francese nella sostanza politica e inglese nella denominazione.

A chi, come noi, è rimasto presente tutto il giorno nel sotterraneo dei frati, la risposta francamente sembra proprio positiva, e il merito va ascritto a chi poteva fuorviare il senso della riunione, cioè i leader dei tre partiti invitati: Matteo Renzi, Carlo Calenda e Benedetto Della Vedova. Avevano un certo interesse a remare solo per sé stessi, e non lo hanno fatto, rispettando scrupolosamente la matrice quasi civica dei partecipanti.

Questi, a loro volta, avevano già conseguito l’eroico risultato di rinunciare al proprio particolarismo di circoli, associazioni, velleitarismi liberali sopravvissuti al deserto politico della seconda e terza Repubblica. In qualche caso, minuscole realtà volontaristiche, in altri, come per Liberal Forum, il più consistente e attrezzato sul territorio, non avendo ancora superato qualche resistenza verso fondatori non del tutto vaccinati, come loro, dalla traversata di un territorio popolato da troppi sedicenti liberali “di massa”, o da autentici galantuomini liberali approdati sorprendentemente al governo di Giorgia Meloni.

Controprova della chiarezza, comunque, del messaggio è la non vasta ma intelligente rassegna stampa del giorno dopo, che ha colto la sostanza di quello che è stato un incontro tra simili, che si rispettano e si riconoscono nelle loro convergenze e anche nelle loro diversità. Soprattutto, capiscono tutti, allo stesso modo, che è urgente dare un’alternativa all’Italia del preventivato quinquennio meloniano e del balbettio proveniente da una sinistra prona ad un movimento autorizzato a stare alla guida del veicolo, dopo aver fallito l’esame per la patente.

Unica eccezione il Corriere della Sera, che volendo evitare la fatica di approfondire di cosa si stesse parlando, ha coperto l’evento con una foto dell’abbraccio tra Renzi e Calenda «ad una convention di Italia Viva e Azione». Proprio tutta un’altra cosa, in linea con le paginate dedicate per settimane al fondamentale quesito se quattro leghisti fuoriusciti avrebbero aderito o no alla lista della Moratti. Davvero la pigrizia è la più grande nemica della professionalità, ma qui stiamo parlando del maggiore quotidiano nazionale, che insegue la notizia di quando e quanto litigheranno Renzi e Calenda. Allora sì che manderanno i migliori cronisti.

Tranquilli. Per ora i due leader vanno d’accordo per forza e hanno attorno sempre più gente che li costringe a rispettare la missione che si sono dati. A Milano, è stato addirittura illustrato un cronoprogramma per arrivare alla fondazione di un partito unitario. Se proprio piace il gossip, chiediamoci chi sarà il leader di questo partito, magari un equidistante oggi ignoto che era seduto lì, in via Hoepli, o ha parlato dal palco. Si potrebbe almeno imbastire l’ennesimo thriller della politica italiana malata di leaderismo.

Ma LibDem ha dato una diversa prova di maturità. Il dibattito, con decine di partecipanti, presieduto da Gianmarco Brenelli (Circolo XX Settembre e Liberal Forum) e Simona Benedettini (ricercatrice esperta di energia), è stato molto ricco, con poche deviazioni da un tema davvero comune.

Si è percepito insomma che c’è consapevolezza della gravità del momento e dell’occasione che si deve cogliere.

Anche il chiacchiericcio da pausa per il catering sui punti deboli delle pur brillanti esposizioni di Renzi e Calenda è un fatto positivo, altro che fan adoranti della “convention” dell’uno o altro partito. Una prova in più che la platea era liberale, ben radicata nei propri dubbi e nel proprio spirito critico.

Certo, il Renzi ha fatto il Renzi, molto piacione e ben disposto a cogliere i segnali che gli aveva appena lanciato il Brenelli, a cominciare da un accenno garantista ai fatti di Bruxelles che ha riscosso l’unanimità.

Si è peraltro ben guardato di rassicurare la consistente parte degli uditori che era lì provenendo dal Partito democratico, sul suo famigerato cinismo, quello che aveva trafitto il cuore dei molti liberal-Pd al tempo della fulminea scelta di accasamento con il Pse. Tema scivoloso, ormai superato dal fatto che il faro è rappresentato da Emanuel Macron, con Sandro Gozi suo ologramma italiano, che si è preso la platea – secondo solo ad un Oscar Giannino d’assalto – con un’analisi spietata del melonismo pseudoconservatore.

Quanto a Calenda, è stato un po’ più ruvido, dipingendo ciò che i liberali del futuro partito unitario “non” devono essere: elitari e da salotto.

Qualcuno non ha ben inteso che era un esempio negativo, non un giudizio e il leader di Azione ha così dato la stura a infinite e un po’ inutili code di commenti social, ma a noi il difetto è apparso semmai un altro: la fatica della definizione.

Per identificare il nuovo partito che nascerà, ha usato ben quattro aggettivi: popolare, liberale, repubblicano, riformista, dimenticandone allora un quinto: radicale, per completare l’elenco, tra l’altro in presenza di Della Vedova e Marco Cappato, che cose liberali a questo incontro ne hanno dette parecchie, riempiendo il vuoto che Renzi&Calenda spesso lasciano in materia di diritti civili e minoranze (ma il presidente del Consiglio “emerito” quanto meno ha all’attivo le unioni civili diventate legge).

Perché non dire semplicemente «liberale»? Era più facile da far capire. Magari, per coerenza con proprie antiche provenienze, poteva aggiungere un elogio al Partito Repubblicano Italiano, perché l’argomento non è più divisivo verso i cugini del Partito Liberale Italiano, e non a caso tra i più applauditi c’è stato Davide Giacalone, che ben rappresenta questa componente rappresentata da Alessandro de Nicola, oltre che forte in alcune associazioni e fondazioni. Insomma, c’è ancora da superare un po’ di pudore a dire «liberali», che poi riassume perfettamente in sé il popolarismo (se è quello di Sturzo) e il riformismo (passpartout che vale ricordare solo a quelli del Partito democratico). Lo statuto della nuova Associazione, terza gamba del Terzo Polo, aveva in bozza il riferimento a «liberali, libertari e liberisti», che è stato poi riassunto con l’unico aggettivo liberale. Scelta saggia.

Discussioni di lusso, se ben guardate, nell’Italia di oggi populista e sovranista, nonché progressista come piace a mister «gratuitamente» Giuseppe Conte.

I nuovi polisti ne parleranno tra loro nei prossimi mesi andando verso la fusione e l’aria è quella buona. I problemi saranno superati. Almeno questo si è colto nel “pronti, via” di Milano. Se non andranno lontano, sarà solo colpa loro.

di Beppe Facchetti (Linkiesta.it)

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