Libdem per gli Stati Uniti d’Europa
Non siamo mai voluti entrare in polemiche che di politico hanno poco e non vogliamo iniziare a farlo oggi. Già in autunno evidenziavamo che una delle ragioni per cui sarebbe stato assurdo correre separati era il rischio di “fuoco amico”.
Il rischio di perdersi in polemiche che allontanano l’elettore.
A nostro avviso, il risultato di queste polemiche è che fra i diversi litiganti ne stia beneficiando Forza Italia, che, come fotografano i sondaggi, sta catturando i voti dei c.d. moderati (cioè di chi non vuole votare né questa destra, né questa sinistra) senza fare nulla.
Dal canto nostro, parteciperemo a questa competizione elettorale continuando a fare politica e perorando le nostre idee e le nostre buone ragioni, a cominciare dalla causa per gli Stati Uniti d’Europa.
Chiaritesi in settimana anche le questioni interne che riguardavano Più Europa, il Direttivo sarà finalmente nella condizione di delineare, lunedì prossimo, le linee guida della nostra campagna.
Una cosa ci teniamo a sottolinearla a tutti gli amici iscritti ad Azione che ci leggono: per quanto ci riguarda, le nostre strade dovranno per forza incontrarsi. Abbiamo sempre lavorato per l’unità di questa area di voto e continueremo a farlo.
Cosa sono gli Stati Uniti d’Europa
Ne abbiamo parlato in settimana con la Segretaria nazionale del Movimento Federalista Europeo (sì, il movimento fondato da Spinelli e Rossi!). Potete rivedere il video del webinar qui.
Ne terremo molti altri.
Le elezioni europee e l’agenda della politica italiana
L’ha detto bene in settimana Mario Adinolfi: la politica italiana è tutta concentrata su questioni interne di poco conto, mentre i gradi temi europei non vengono toccati. Si tratta di una politica, di nuovo, non all’altezza delle sfide che ci aspettano
Difficile dire, in questo quadro, cosa sia l’Europa per l’elettore italiano e per cosa voterà, a giugno.
Per il sostegno all’Ucraina e un esercito europeo? Per nuove politiche di bilancio e un’intesa sul debito comune? Per un rinnovato impulso in tema di green economy? Per sostenere o per respingere l’accordo raggiunto sulle politiche di accoglienza?
Di qui all’appuntamento elettorale mancano ancora un paio di mesi, ma che l’agenda della politica italiana si sposti su queste tematiche è improbabile. Nonostante siano, con tutta evidenza, cruciali per le nostre vite e per il nostro futuro.
Nel centrosinistra, tutto gira in queste settimane intorno alla sempiterna questione morale. È la questione morale che definisce, agli occhi dell’opinione pubblica, l’identità dei partiti, non le posizioni assunte in politica estera, oppure il giudizio dato sul nuovo patto in materia di asilo e migrazione.
Il centrodestra starebbe messo meglio, in realtà. Ma lì pesa il fattore Orban, inteso come il termine di paragone che misura la maggiore o minore distanza da Bruxelles e dalle prospettive di stare dentro un accordo di governo nel prossimo Parlamento europeo.
Sull’Ucraina non si può stare con il premier magiaro, che costringe l’Unione a sfiancanti trattative ogniqualvolta c’è da votare un pacchetto di aiuti a Kiev, ma se si tratta invece delle politiche green, oppure della risoluzione sul diritto all’aborto da inserire nei trattati, l’Italia di Meloni e Salvini si ritrova in un battibaleno a fianco dell’Ungheria (senza che si registrino significativi distinguo neppure in Forza Italia, questa volta).
Ma se il discorso cade invece sul futuro presidente della Commissione, le strade tornano a divergere: Tajani e Meloni sono pronti a lavorare a un’intesa fra i rispettivi gruppi (popolari e conservatori), mentre Salvini si chiama fuori da ogni possibile “inciucio”.
Ma, al di là delle specifiche posizioni su questa o quella partita che si gioca a Bruxelles, nessuno sembra disposto a costruire un pezzo della propria identità politica sul progetto europeo, né tantomeno ad appassionarsi e ad appassionare gli elettori sui temi della difesa europea, del bilancio europeo, dell’agenda digitale comune, delle politiche energetiche: vuoi metterle a confronto con i nuovi assetti in Rai o con la prossima tornata di elezioni locali, con le disavventure giudiziarie o con il fascismo e l’antifascismo?
Il nuovo Patto sui migranti
Il Parlamento europeo ha approvato in settimana il nuovo Patto su migrazione e asilo, che dovrebbe permettere di superare le regole di Dublino, introdurre più solidarietà e responsabilità, rafforzare il controllo delle frontiere e dotare l’Ue di una politica per le crisi come quella del 2015-16.
I gruppi della “maggioranza Ursula” – popolari, socialisti e liberali – hanno votato a favore del compromesso, in nome del pragmatismo di un’Ue che offre soluzioni alle preoccupazioni dei cittadini.
I risultati del voto – 322 a favore, 266 contro sul regolamento più controverso del pacchetto – mostrano, però, una certa mancanza di entusiasmo.
Una parte della sinistra – compresa la delegazione italiana del Pd – ha rigettato il compromesso, pesantemente criticato anche dalle Ong.
Dal canto loro, anche i partiti della destra sovranista e dell’estrema destra europea – gli italiani della Lega, i francesi del Rassemblement national, i polacchi del PiS, gli ungheresi di Fidesz – hanno votato contro, denunciando fantasiose “politiche immigrazioniste europee”.
L’eccezione è FdI, che ha votato in modo confuso: “Sì”, “no” e astensione a seconda del regolamento, anche se il governo Meloni aveva sostenuto tutto il pacchetto.
Ora la parola passa al Consiglio: il via libera è atteso entro la fine del mese.
L’obiettivo del nuovo accordo è superare l’approccio nazionale e stabilire regole e procedure uguali in tutti gli Stati membri dell’Ue. Il sistema prevede identificazioni e rimpatri più veloci, e una maggiore solidarietà nei confronti degli Stati di primo arrivo.
Le soluzioni approvate dall’Eurocamera non modificano, nella sostanza, il principio alla base del regolamento di Dublino, in base al quale la richiesta di asilo va presentata al paese Ue di primo approdo. A questo è ancora richiesto di raccogliere la domanda di asilo, gestire la persona e la pratica in tempi rapidi, ma può contare sull’aiuto degli altri, o in termini ricollocamenti o contributi finanziari.
La grande novità è rappresentata dall’introduzione di una quota standard di 30mila ricollocamenti l’anno.
Ma gli Stati membri potranno contribuire con misure finanziarie (20mila euro a migrante; l’importo viene determinato sulla base di due variabili: popolazione e prodotto interno lordo) o altre misure, come la presa in carico del rimpatrio di un migrante. In caso di crisi si prevede una possibile deroga temporanea alle procedure standard di asilo e la Commissione potrà intervenire per far sì che i Paesi in questione siano ulteriormente sostenuti.
Sul piatto 600 milioni di finanziamenti all’anno, di cui possono beneficiare gli stati soggetti a maggiore pressione migratoria.
Non sono, però, previste sanzioni per gli Stati che non accettino il ricollocamento. Esiste, come per qualsiasi legislazione europea, la procedura di infrazione, che include anche sanzioni nel caso di inadempienza, mancata ricezione o violazione.
Come sempre, saranno i tribunali, nazionali e europei, che dovranno fare applicare le nuove leggi.
Debito pubblico
l debito pubblico dell’Italia romperà la soglia psicologica dei 3.000 miliardi di euro a partire dall’anno prossimo.
È quanto prevedono le tabelle del Def 2024, secondo cui dai 2.981 miliardi di euro attesi per quest’anno il passivo totale della Pa salirebbe a 3.110 miliardi nel 2025, a 3.224 miliardi nel 2026 e a 3.306 miliardi nel 2027, anno in cui inizierebbe una traiettoria discendente del rapporto debito/Pil.
Non se ne sta parlando a sufficienza.
Il libro della settimana
Nazione Europa: Perché la ricetta sovranista è destinata alla sconfitta. Di Claudio Tito, con prefazione di Paolo Gentiloni e Maurizio Molinari.
«L’Europa sarà forgiata nelle crisi», diceva Jean Monnet, e in effetti le ultime crisi sembrano aver dato una svolta decisiva all’Unione, che per affrontare la pandemia, le gravi difficoltà economiche e poi la guerra in Ucraina ha rovesciato alcuni dei dogmi che la frenavano da decenni. L’UE, forse più per necessità che per scelta, ha accettato la formazione di debito comune con il Recovery fund, ha agito coesa in ambito sanitario con gli acquisti collettivi dei vaccini, ha inserito elementi sovranazionali di organizzazione della Difesa soprattutto con la condivisione degli aiuti militari all’Ucraina. Questi sviluppi segnano una strada senza ritorno.
I burrascosi anni del Covid hanno piantato nella terra del Vecchio Continente il seme della sovranità europea, della Nazione Europa. Un seme che ha ora bisogno di crescere e diventare un albero robusto, per un’Unione che abbandoni progressivamente gli accordi e i veti tra gli stati trasferendo poteri verso le istituzioni condivise; e che ripensi la governance della moneta unica dotandosi di un bilancio comune.
Il rischio di un ritorno agli steccati nazionali è ancora forte, anche in vista delle Elezioni europee di giugno 2024. Ma se da un lato la retorica sovranista è un efficace strumento di propaganda per le destre, dall’altro le sue ricette si rivelano impraticabili al governo. Perché alla fine tutti devono fare i conti con l’irreversibilità del processo comunitario.
Claudio Tito svela i processi politici, i retroscena e le poste in gioco di tre anni che hanno cambiato radicalmente l’Europa. E mostra come l’obiettivo finale di una Federazione politica non sia più soltanto un’idea utopistica, ma un progetto politico ragionevole, una necessità ineludibile per 450 milioni di europei.