Che cosa pensa davvero il governo del nuovo patto di stabilità europeo, che verrà deciso in questo 2023? Il tempo stringe, il governo si chiarisca bene le idee. Altrimenti, si profilano guai certi. Il 9 novembre la Commissione UE ha reso pubblica la propria “Comunicazione sugli orientamenti per una riforma del quadro di governance economica dell’UE”. Inutile dire quanto il tema sia importante, per un Paese che ha il proprio debito pubblico a una quota pari al 145% del PIL (e aspettiamo di capire quanto la discesa di 10 punti avvenuta sotto Draghi sarà attenuata dall’imputazione dei bonus edilizi). Banca d’Italia ha già levato la sua voce. Il 14 febbraio, in audizione alla Commissione Bilancio della Camera, il capo dipartimento economia e statistica della Banca d’Italia Sergio Nicoletti Altimari ha esposto il pensiero di via Nazionale. In sintesi, tre blocchi di considerazioni. Il primo richiama la necessità per l’Italia di sposare con decisione politiche di bilancio responsabili volte a ridurre il debito. L’esperienza italiana mostra che le scelte pubbliche possono produrre livelli dannosi di disavanzo e debito pubblico, perché superiori a quelli utili a stabilizzare l’economia o a determinare livelli più elevati di crescita nel lungo termine. Meccanismi di “preferenza per il deficit” producono distorsioni nella composizione del bilancio pubblico, favorendo eccessivamente la spesa corrente rispetto agli investimenti. In un’unione monetaria l’importanza di presidi contro il deficit bias è ancora maggiore, poiché la sostenibilità delle finanze pubbliche di ciascun Paese garantisce la stabilità dell’intera area. Prima conclusione: lo spread è sceso ma resta troppo elevato, imporre vincoli alla politica di bilancio contribuisce a un processo di bilancio più orientato al medio-lungo periodo.
Il secondo punto è sul merito delle proposte della Commissione. Bankitalia condivide l’obiettivo di semplificare regole divenute sempre più complicate e multiobiettivo – attualmente disavanzo nominale, disavanzo strutturale, spesa e debito – e con criteri spesso opinabili, come il deficit strutturale calcolato sull’output gap di ogni Paese. Tuttavia via Nazionale fa presente che la “regola della spesa” proposta ora per abbassare il debito, basata su obiettivi quadriennali della spesa pubblica primaria netta – ossia al netto degli esborsi per interessi, della componente ciclica connessa alla disoccupazione, e delle misure discrezionali riguardanti le entrate – non è comunque scevra di elementi invalutabili con precisione ex ante per gli anni a venire, dunque resterebbe esposta a discrezionalità. Aggiunge soprattutto poi che la proposta di tre diverse classi di Paesi a diverso livello di rischio di sostenibilità del debito – “alto, “moderato” e “modesto” – con diverse modalità di rientro attraverso piani di aggiustamento contrattati entro i 4 anni per i più a rischio, inevitabilmente esporrà i membri UE a classificazione più elevata tra cui l’Italia a bias di mercato immediati, che ne peggiorerebbero la sostenibilità. Inoltre, la proposta di abbinare il contratto quadriennale di rientro a riforme strutturali è positiva, a patto che le riforme abbiano analisi tecniche condivise sugli effetti circa il PIL potenziale, e non siano disomogenee tra Paese e Paese. Estendere poi le sanzioni fino alla perdita del diritto all’uso di Fondi UE rende politicamente assai probabile che si replichi quanto già avvenuto, cioè la loro inattuazione. Meglio pensare a incentivi a realizzare i piani di rientro con logica premiale, che punitiva.
Infine, terza osservazione: al nuovo Patto di Stabilità va accompagnata una più ampia capacità europea di bilancio. L’esperienza di questi anni dimostra la necessità di fronteggiare shock esogeni con fondi comuni, come avvenuto con Next Generation EU e SURE. Ma tali fondi sono possibili solo se aumenta come sottostante un maggior bilancio comunitario: cioè servono cessioni di sovranità fiscale a favore di Bruxelles. Se si sostiene questa soluzione a favore di beni comuni, si è più credibili nella trattativa per smontare le tre classi di rischio del debito pubblico nazionale.
Il governo Meloni dovrebbe rapidamente capire che ha tutto l’interesse a far propria la posizione di via Nazionale, lavorando sin d’ora con i governi europei per una maggioranza a favore di tali scelte. L’asse franco-tedesco-olandese è molto meno forte di un tempo. Non replichi quanto si è già visto sul Fit for 55, intervenendo fuori tempo. Il debito italiano è enorme, e decenni di politiche sbagliate ci espongono a enormi nuovi rischi per la possibilità di tutti gli ingenti investimenti necessari per il futuro dell’Italia.
Oscar Giannino, Affari&Finanza, La Repubblica, 27.02.2023