L’Italia è affamata di investimenti, ma frenata da ostacoli storici a effettuarli rapidamente con
efficacia. La vera grande partita è cercare di non perdere le molte risorse messeci a disposizione
dall’Europa. E’ una partita difficile, ma da giocare. Con molto realismo, senza urlate antieuropee.
Altrimenti si finisce nell’angolo.
Siamo sempre più stretti in un gigantesco macroparadosso. Da una parte la Commissione UE
continua ad accelerare sul sentiero green, ma il Fit for 55 impone entro il 2030-35 investimenti
industriali non esattamente alla portata per le nostre industrie, vedi lo studio del professor
Massimo Beccarello e del suo team di ricercatori presentato la settimana scorsa, che cifra in 1100
miliardi gli investimenti necessari in Italia per realizzare l’obiettivo del -55% di emissioni. E la
nuova proposta di direttiva Net Zero Industrial Act, che punta al 40% di autonomia europea su
tutte le tecnologie green entro il 2050, aggiunge un altro carico imponente di investimenti su
obiettivi dirigisticamente posti da Bruxelles, mettendo in crisi ancor più seria le catene di fornitura
della maggior parte delle filiere industriali italiane. Dall’altra, siamo indietro sull’attuazione del
PNRR, tanto da aver iniziato una sommessa trattativa per sondare la disponibilità di Bruxelles a
destinare parte delle sue risorse ad altri fin rispetto a quelli previsti, ma più agevolmente attuabili
nel triennio senza correre il rischio di perderli.
La trattativa sul PNRR avviata dal ministro Fitto è complessa, Bruxelles si riserva un esame molto
scrupoloso per singolo progetto delle ragioni che portano a chiedere di destinare altrove la spesa
prevista. Ma c’è un’altra partita giocabile, che non riguarda il PNRR ma investe decine di miliardi.
Cioè le somme non utilizzate dei fondi ordinari, strutturali e di coesione, SIE o ESIF, che la UE ha
riservato all’Italia. Dei circa 108 miliardi della pianificazione europea 2014-21 destinarti all’Italia, il
30 settembre 2022 ne risultavano spesi solo 64, pari al 60%, percentuale inferiore a quella di tutti i
paesi europei tranne Spagna (54%), Danimarca (59%) e Slovacchia (59%). Da noi la grande frenata
del COVID ha avuto un impatto maggiore che in altri paesi UE. Tanto che la Commissione Europea,
con la modifica regolamentare adottata per fronteggiare il COVID, aveva consentito di utilizzare i
fondi rimanenti rimuovendo per il periodo estate 2020-21 il vincolo del cofinanziamento
nazionale. Considerando che i 43 miliardi non spesi dall’Italia allo scorso autunno possono essere
spesi al massimo entro fine 2023, e immaginando che in questo anno riusciremo a spenderne
come nel 2022 cioè non oltre 16 miliardi, si raggiungerebbe una quota finale di 80 miliardi utilizzati
su 108. Oltre 27 miliardi andrebbero quindi perduti. Si capisce bene che non si tratta di una
performance tale da alleggerire i dubbi sull’Italia dei membri UE del blocco cosiddetto “virtuoso”,
sempre scettici sulle lamentele italiche anti UE.
Eppure, ha senso aprire una trattativa riservata per non perdere questi fondi e per riallocarli:
adducendo come ragione di fondo proprio l’enorme mare di investimenti aggiuntivi che gli
obiettivi sempre più forzati nel tempo e nelle finalità la UE assume sul fronte green, e su quello
dell’autonomia delle tecnologie di punta europee non solo ambientali ma che riguardano tutte le
eccellenze della sfida su industria 5.0 lanciata globalmente da Stati Uniti e Cina. Su questo tema il
sistema industriale italiano tre settimane fa ha tenuto una serie di incontri riservati con tutti i
membri di primo piano della Commissione, a Bruxelles. Un modo ci sarebbe, per riprogrammare i
fondi non solo senza levarli all’Italia, ma comunque rispettoso delle rispettive destinazioni previste
per singole Regioni in Italia dei fondi precedentemente allocati. Se si consentisse il riutilizzo di
quelle somme volgendole a incentivi in investimenti produttivi in quelle stesse Regioni, la logica e
la finalità dei diversi fondi europei sarebbe rispettata, e sarebbe una leva aggiuntiva per
raggiungere i pressanti obiettivi posti proprio da Bruxelles. Oltre a costituire un precedente anche
per un paracadute magari analogo anche per gli 84 miliardi aggiuntivi che spettano all’Italia nella
programmazione europea 2021-27.
Ma c’è un caveat. Per trattative come queste l’Italia dovrebbe evitare le polemiche fontali con la
UE che sembra preferire su materie come l’immigrazione, o con la ormai solitaria mancata ratifica
del MES. Come si è visto al Consiglio Europeo della settimana scorsa, l’Europa aveva accolto bene
la legge di bilancio di Giorgia Meloni, ma fa in fretta a rivedere il giudizio. E’ vero che le prossime
elezioni europee possono molto mutare l’indirizzo di questa Commissione Europea. Ma è un
errore aspettare. Oggi, bisogna cercare di non perdere risorse che per colpa nostra non riusciamo
a spendere, ma che ci servono maledettamente.
Di Oscar Fulvio Giannino