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Più che il liceo del made in Italy alla scuola italiana servono soldi, merito e concorrenza

Il divario Nord-Sud è spaventoso, le percentuali di abbandono altissime. E se confrontiamo il rendimento dei nostri studenti con quelli degli altri Paesi i risultati sono sconfortanti

Il governo deve fare molto più di quel che ha fatto fin qui

Sarebbe fin troppo facile ironizzare sul liceo agrario del Made in Italy celebrato da Giorgia Meloni nonché sulle sue conclusioni affrettate su cosa sia “il vero liceo”, Oppure sulle lagnose esternazioni degli studenti che si sentono troppo stressati da questi bizzarri criteri di merito per entrare nelle facoltà di Medicina (salvo pretendere un medico di prima classe quando hanno il raffreddore), In realtà la nostra scuola non dà molto spazio al sorrisi, specialmente se raffrontiamo il rendimento del nostri studenti con quello di altri Paesi. Lo strumento è quello del test Ocse Pisa, che si svolgono in 93 Paesi e coinvolgono studenti di 15 anni con uguali standard di valutazione. Ebbene, nel 2018 il 33% di ragazze e ragazzi italiani non ha raggiunto il livello 2 (low performer) che denota difficoltà a maneggiare materiale un po’

complesso. La percentuale raggiunge il 50% negli istituti professionali

tra i Paesi sviluppati.

Le prove invalsi, che sono invece preparate da un ente di ricerca supervisionato dal ministero dell’istruzione, nel 2021 hanno certificato che alla fine della scuola superiore il 51% degli studenti non ha competenze adeguate in matematica e il 44% non le raggiunge in italiano, Il divario tra Nord e Sud rimane enorme Casti pensare che in Campania il 64,2% degli allievi non è a un livello sufficiente in italiano) e l’aumento di “insufficienze” dovuto alla dad sperimentata in pandemia è di ben 9 pianti percentuali.

Un altro dato sconfortante del Belpaese riguarda l’abbandono scolastico (prima del conseguimento di un diploma) al 13,1%, il quarto peggior risultato nella Ue. Seppur la tendenza sia di lieve miglioramento, in regioni come la Sicilia si raggiunge 19,4% e in Campania il 17,3% Peraltro, I diplomati rappresentano il 62,9% della popolazione contro il 79% europeo.

A completamento del quadro, anche i laureati in Italia sono pochi. Nella popolazione tra i 25 e i 64 anni essi rappresentano solo il 20,1% rispetto al 32,8% della media europea (per carità di patria non citiamo Usa, Canada, Giappone o Corea del Sud).

In una situazione di questo genere, il problema principale è l’assenza di professionalità che servirebbe al circuito economico e che la nostra scuola non contribuisce a formare (si pensi a quanto poco siano valorizzati di istituti tecnico-turistici).

Cosa manca all’Italia? In sintesi, soldi, merito, concorrenza. Nel bilancio dello Stato, appesantito da pensioni, prepensionamenti, interessi sul debito e reddito di cittadinanza, le spese per l’istruzione fanno la parte della cenerentola, rappresentando il 3,9% del Pil contro la media europea del 4.

Con il Parr qualche risorsa in più c’è, ma l’istruzione non fa la parte del leone e la questione è anche come vengono spesi i soldi aggiuntivi. Durante la passata campagna elettorale un certo numero di partiti proponevano di portare i salari del docenti italiani al livello di quelli europei a prescindere da ogni considerazione di produttività. Come noto l’Osservatorio del Conti Pubblici Italiani, se il parametro era riferito alle nazioni dell’Eurozona. portare il salario degli 890 mila insegnanti italiani da 30.800 euro al livello del Vecchio Continente di 44,400 euro costerebbe 11,7 miliardi.

Ma, a prescindere dagli investimenti, è strabiliante la macroscopica disattenzione nel confronti del merito non solo il 99% di promossi alla maturità è una percentuale ridicola (com buona pace degli studenti angosciati dalla

¡della meritocrazia) ma è altresì le l’appiattimento del corpo docente

on si trovano professori di matematica soprattutto al Nord? Li si paghi di pia, vista la disastrosa incapacità di far di conto degli allievi.

Alcuni docenti sono inadatti o poco solerti e formati, mentre altri sono coscienziosi, aggiornati e coinvolgenti? Si premino i secondi e si rallenti il percorso di carriera del primi. Il tempo semipieno è utile? Incoraggiamo e remuneriamo i volenterosi che se ne prendono carico

Infine la concorrenza: il problema italiano è di offerta, rigida, determinata ministerialmente com scarsa flessibilità all’autonomia dei provveditorati o degi istituti e com l’handicap delle rette per le scuole paritarie. Se invece lo Stato finanziasse le famiglie – e non gli istituti, quindi in linea con il dettato costituzionale – con una quota da spendere nella scuola di loro preferenza e ci fosse un’offerta diversificata che tiene conto delle esigenze del mercato del lavoro (sempre mantenendo l’importanza della formazione umanistica), ne trarrebbero giovamento l’economia e soprattutto le giovani generazioni.

Anche l’esperienza delle charter school angloamericane, scuole gratuite ma autonome e con possibilità di sperimentare diversi approcci, potrebbe essere replicata.

Inoltre, è vero che giudicare la performance degli insegnanti non è facile, ma si fa in tutta Europa e dal 2005 la valutazione individuale prevale su quella collettiva ed è sia esterna (ispettori) che interna (presidi o consigli scolastici).

Il ministro Valditara ha voluto inserire la parola “merito”nella denominazione del suo Ministero, ma finora, salvo dichiarazioni di principio, qualche iniziativa sui tutor o per far partecipare le scuole paritarie ai progetti europei, sono stati trovati soldi aggiuntivi solo per la componente

 

di Alessandro De Nicola

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