Dell’ascesa di Elly Schlein alla guida del Pd, la prima domanda verte sulla totale diversità rispetto a quanto avvenuto a sinistra in grandi Paesi europei. La Spd tedesca convive da tre decenni con l’evoluzione – nel tempo molto forte. rispetto agli inizi iper radicali – dei Verdi tedeschi, ma non le è mai passato per la testa di arrendersi loro. In Spagna, Pablo Sanchez diventa segretario dei socialisti nel 2014 (la prima vota che il PSOE adotta il metodo delle primarie, ma tra iscritti) e in 3 anni si dimette 2 volte e ridiventa segretario ogni volta contro una metà del PSOE che dà a Rajoy i voti in parlamento per sopravvivere. Alla fine sarà lui e far cadere Rajoy e diventa premier col sostegno di Podemos, la cui piattaforma radicale viene vista dai più come alternativa destinata a vincere rispetto al PSOE spaccato. Poco dopo gli autonomisti catalani fanno cadere il governo Sanchez e la Spagna torna per la terza al voto in 4 anni. Ad aprile 2019 Sanchez rivince, ma la laboriosa trattativa con Podemos, e il tenace rifiuto di Sanchez di nominare nel governo il loro leader Pablo Iglesias, portano a nuove elezioni. Sanchez non molla e rivince le elezioni ad aprile 2019 e Podemos è costretta a venire a patti, ma alle condizioni di Sanchez. La Francia di Mélenchon non fa molto testo: i resti del partito socialista gli si sono arresi alle ultime presidenziali perché erano in caduta così verticale da rischiare di sparire. In Germania e Spagna la sinistra di governo non ha scelto di mettere i propri destini nelle mani di gazebo aperti a tutti. Ha tenuto duro, Sanchez ha tenuto durissimo in tre elezioni successive, e alla fine ha vinto lui. La differenza italiana è manifesta. Se il Pd ha deciso di continuare a osservare regole per la nomina del suo leader in cui il voto degli iscritti può esser ribaltato nei gazebo dagli elettori di atri partiti, è evidente che il motivo è stato il totale esaurimento dei suoi capicorrente nell’ elaborare una nuova piattaforma fatta di un nuovo leder forte di un programma chiaro. E così puntualmente è andata, perché – sia pure nella forbice vasta dele analisi sul voto quanto a percentuali di elettori di altri partiti —– in ogni caso la loro somma nei gazebo è quella che ha permesso a Schlein di vincere.
Un leader scelto per voto popolare, non di un congresso con nuovo programma, è la definitiva sepoltura dell’idea veltroniana di un Pd a vocazione maggioritaria. In realtà il Pd l’aveva già consumata nel governo Conte2, con la scelta di sostituire la contesa dei voti al centro con uno schema neofrontista contro la destra supremo male etico da contrastare. L’esatto opposto della linea SPD e del PSOE in Spagna, che pure è durissimo contro i neofascisti di Vox, ma non per questo si è arreso alla sinistra radicale. Dall’impostazione neofrontista discendo però conseguenze potenziali rilevanti. Anche se solo i fatti dimostreranno se si avvereranno davvero oppure no. Dipende da che cosa in concreto farà Eddy Schlein.
La prima conseguenza è una costate del pendolarismo irrisolto delle sinistre che non hanno mai fatto una scelta chiar e definitiva, nell’eterno scontro interno tra riformisti e rivoluzionari che travagliò per decenni la vita del socialismo in Italia, fino alla nascita del Pci nel 1921 e ancora nel secondo dopoguerra. Scegliendo Schlein, l’identità torna ad anteporsi a un concreto programma di governo riformista. Perché “rifomista” non è certo più il “socialfascimo” appiccicatogli come etichetta dal Pci nei suoi decenni filosovietici, ma nella vita interna del Pd è diventato sinonimo di “renzismo”, considerato il peggio del peggio immaginabile poiché in nome di scelte di governo avrebbe allontanato il Pdi non dai suoi elettori (lo aveva portato al massimo di consenso elettorale nella storia, ehm) ma, appunto, dalla sua “identità”.
La seconda conseguenza è che l’addio al riformismo per il frontismo significa che d’ora in poi i decili mediani in cui si concentrano valori e richieste di chi non appartiene specularmente e identitariamente né a ”questa destra” né a “questa sinistra”, invece di rappresentare l’area da contendere per governare, diventano terra d’ignavi contre cui combattere. Terra in cui avrebbe anzi allignato il famigerato “neoliberismo” di cui ormai tutti gli esponenti del Pd si riempiono la bocca, anche se in Italia non c’è mai stato e nei comportamenti concreti degli italiani non si è mai visto, visto che qui non si sono mai viste proteste di massa contro il fisco rapinoso e lo Stato che intermedia percentuali paurose del Pil con risultati drammaticamente deficitari. Al vecchio PCI questa strategia non ha mai portato bene, anche se certo ne ha consolidato nei decenni un’identità fortissima, come si vede dura a morire.
La terza conseguenza è che se il Pd diviso e corroso da correnti e cacicchi al Sud ha abbandonato ogni pretesa di scegliere il suo leader, non conforta molto la scelta giacobina che è stata compiuta in alternativa, cioè il taglio della testa ai dirigenti appellandosi al popolo. Si imbocca la via del chi è più puro a sinistra, ma il giacobinismo che fa appello al popolo per la ghigliottina è per definizione autocentrato, non vince le elezioni, e alla fine prepara solo il campo – ma dopo aspre sconfitte – al ritorno di un’idea di “partito per governare”. Il Pd dovrebbe riflettere davvero, sulla parabola dei 5S. Se concepisce l’avvocato Conte come una ruota di scorta essenziale per il frontismo antidestra, l’esperienza dei governi Conte è stata di un trasformismo estremo alla ricerca di voti scegliendo alleati disparati, e all’avvocato pugliese piaceva molto la caratura di “democristiano” con cui i ceti popolari lo identificavano in maniera crescente; e da una un grande capacità di vedersi approvati dagli alleati protempore redditizie bandierine elettorali, come è avvenuto con il reddito di cittadinanza e bonus e superbonus edilizi, entrambi dall’impianto normativo scritto malissimo apposta perché fossero meglio mirati alla più vasta diffusione di beneficio nella società italiana. Auguri dunque, a fermare l’anguilla.
La quarta conseguenza è che se la tutela identitaria vince su ogni cosa, allora la molteplice serie di constituencies impegnate nella difesa dei diritti della cultura woke valgono cento volte di più della tutela delle libertà. Questo sì che è un elemento comune a tutta la sinistra radicale occidentale. In realtà è un ritorno al vecchio schema per cui le “vecchie libertà” erano quelle dell’evoluzione borghese negli interessi della borghesia, codificate ormai in un corpus logoro di patriarchismo paternalista. Dimenticando disinivoltamente che, senza le libertà borghesi ripristinate dopo una vittoria sanguinosa contro il nazifascismo, l’Occidente non si sarebbe poi avviato alla welfare society né oggi sarebbe unito contro il terrorista sanguinario Putin. Tutti argomenti che non solo in Italia non spostano di un millimetro chi si è convinto che la moltiplicazione di “nuovi diritti” sia la vera via per liberarsi dei compromessi della democrazia borghese.
La quinta conseguenza è che se conta solo l’aggancio costante alla pancia del popolo frontista, inevitabilmente ne sarà investita anche la posizione sulla politica internazionale. La convinzione che l’invasione di Putin – dopo altri atti militari imperialisti negli anni precedenti – segni uno spartiacque tra difesa delle libertà contro dispotismo sanguinario, in Italia non è maggioritaria nel “popolo di sinistra” e neanche nel “popolo della destra”. Per difendere quella convinzione bisogna avere partiti di governo e di opposizione capaci di dire agli italiani verità scomode, le uniche all’altezza dell’attacco che i dispotismi lanciano al cuore stesso delle nostre società. Se scegli l’identità, non lo farai. Inizierai a graduare sempre più con nuove distinzioni il sostegno all’Ucraina, ti nasconderai dietro il papa che fa tutt’altro mestiere e per questo va capito, ma alla fine cementerai il tuo consenso frontista dicendo che mioddio la guerra non può essere legittima neanche se è la resistenza di un invaso contro l‘invasore stragista.
A Elly Schlein farci capire ora che cosa farà davvero.
PS: queste riflessioni sono non solo mie personali, ma il condensato di diverse chat di “elettori liberi” cui partecipo, e che in questi giorni hanno dibattuto a lungo sulla scelta di Elly
Di Oscar Fulvio Giannino