L’espressione preoccupata che il ministro dell’Economia Giorgetti trasmette nel corso delle sue audizioni pubbliche è significativa. D’altronde, non mancano i motivi di inquietudine e segno inequivocabile di questa sottile angoscia è la tensione sullo spread dei titoli pubblici italiani rispetto ai bund tedeschi che nel giro di un mese è aumentato di 30 punti base.
I numeri esposti nella Nadef pubblicata sabato non scintillano. Il deficit sarà più alto delle previsioni e nel 2023 e si attesterà al 5,3% rispetto al Pil; 4,3% nel 2024, 3,6% nel 2025 e 2,9% nel 2026.
Il macigno del debito, pari al 140,2% del Pil nel 2023, si abbasserà al 139,6% solo nel 2026: una differenza statisticamente irrilevante che un qualsiasi stormir di fronde dell’economia internazionale può vanificare. Oppure, più semplicemente, una minor crescita dell’economia italiana rispetto a quella pronosticata dal governo (1,2% nel 2024, 1,4% nel 2025 e 1,0% nel 2026) che è superiore a quella stimata da tutte le istituzioni ed enti internazionali (Ocse, Fmi, Commissione Ue, S&P). Il marchio di scarsa fiducia dei mercati nei confronti del Paese (mercati che, è bene ricordare, siamo anche noi risparmiatori italiani) è stato reso plastico dal sorpasso della Grecia che oggi paga tassi di interesse più bassi di quelli italiani nonostante un debito pubblico più alto ma evidentemente ritenuto più sostenibile.
Dei famosi Pigs (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna) è rimasta solo la “I”.
Bene e allora che fare? Un difetto grave delle attuali politiche economiche è certamente la mancanza di una visione per la Patria di cui ci si riempie la bocca. Dove vogliamo che siano l’economia e la società italiane da qui a 10 anni? Non si sa.
Prendiamo un esempio semplice, quello delle privatizzazioni.
Nella Nota si legge che la riduzione del rapporto debito/Pil si otterrà nel triennio 2024-26 anche grazie a dismissioni di partecipazioni in società pari all’1% del Pil, circa 22 miliardi.
Evviva, nessuno può essere più felice di chi scrive. Ma sarà vero?
Esiste un senso di marcia? Finora, salvo la vendita già precedentemente avviata di Ita, il governo ha traccheggiato sulla dismissione delle quote Mps (“nessuno ci può dettare i tempi”), è entrato tramite Cdp nell’affare della rete Tim, propone un Fondo (pubblico) del Made in Italy con il ministro Urso (che preme per una nazionalizzazione dell’Iva): propugna insomma un allargamento del perimetro statale. Ora? Si è cambiata idea? Cosa si pensa di immettere sul mercato? Ad esempio, le quote delle società quotate o di quelle che già operano in mercati concorrenziali? O ci sarà un’estrazione a sorte insieme alla Lotteria di Capodanno? E come si attraggono gli investitori? Finora la normativa della golden power (diritto di veto alle acquisizioni in molti settori) è intatta e si sono intraprese due iniziative: la guerra all’algoritmo e la tassa sugli extraprofitti che hanno scoraggiato le imprese internazionali.
Come si vuole creare un ambiente favorevole all’investimento?
Mistero.
Lo stesso dicasi per la spesa pubblica: dopo che il Def prevedeva una spending review per un ammontare di 300 milioni di euro (lo 0,013% del PIL, da vergognarsi), ora il Mef cerca di tagliare 2 miliardi. Ma come? Tagli lineari? Quali sono le priorità? Come si giustifica la permanenza dell’assurda Quota 103 o dell’Ape sociale addirittura pensando ad un’Ape Donna? Quali sono le funzioni che il governo ritiene essenziale finanziare? Quali quelle che potrebbero invece essere lasciate ai privati? Non parliamo poi del differenziale di crescita che si otterrebbe attuando le riforme previste nel Pnr (citato in una noterella a più di pagina della Nadef): con quanto fatto in tema di liberalizzazioni, concorrenza, digitalizzazione, giustizia, l’efficienza e la produttività del Paese sono destinate a rimanere bloccate.
Concludendo, i creditori sono diffidenti non solo perché hanno dubbi sulla raggiungibilità dei già modesti risultati previsti dal governo, ma pure per il senso di disorientamento che le politiche fin qui seguite, erratiche e non in linea con alcuni degli obiettivi conclamati, stanno generando.
Cara Presidente, si dia un centro di gravità, magari non permanente, ma almeno sufficiente a ingenerare fiducia.
Di Alessandro De Nicola