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Le liberalizzazioni mancate e quelle code infinite al parcheggio dei taxi

L’equiparazione completa con gli Ncc, la competizione con le piattaforme di autisti non professionisti e le compensazioni del valore delle licenze potrebbero essere le chiavi per affrontare una situazione che con il tempo è diventata insostenibile

Taxi, taxi il mio amore è finito qui”, cantava il simpatico Antoine a Sanremo nel 1970. “È finito quel lunedì” piovoso, continuava la strofa e questo fa capire come la canzone sia irrimediabilmente datata: oggidì chi riuscirebbe a trovare per strada un taxi durante un lunedì di pioggia?

La questione del trasporto locale non di linea si trascina da tempo. Una decina di anni fa si affaccio timidamente Uber, ma una serie di vicende giudiziarie e pavidità politiche ne soffocarono l’espansione e nel 2023 è presente solo in qualche grande città grazie ad accordi coi taxi o mediante autisti in possesso di licenza per noleggio con conducente, gli cc, pochissime vetture a prezzi alti.

Itentativi di liberalizzazione del 2011 del governo Monti erano stati già stroncati e miglior sorte non fu riservata a quelli del governo Renzi che pure nel 2017 aveva tentato di inserire la riforma all’interno della legge annuale sulla concorrenza. Ci ha riprovato il governo Draghi, che però dovette stralciare le norme sui taxi dal testo della legge annuale e poi cadde.

In questi anni sia l’Autorità garante della concorrenza (Agcm) sia l’Autorità dei Trasporti hanno continuato a emanare segnalazioni e raccomandazioni in cui si descrivono gli effetti nefasti dell’attuale regolamentazione contenuta in una legge del 1992. L’Agem ha poi frequentemente sanzionato le cooperative di taxi quando queste concludevano accordi ancor più restrittivi della competizione integrando l’ipotesi di abuso di posizione dominante.

Infine, lo scorso 8 giugno è stata la Corte di Giustizia europea (le cui sentenze hanno valore perlomeno pari a quello della Corte Costituzionale e quindi portano alla disapplicazione delle normative contrarie) la quale, esaminando il caso della città di Barcellona, ha stabilito che la concessione delle licenze di taxi non può essere sottoposta a restrizioni che non siano strettamente necessarie a proteggere la sicurezza o la salute o a limitare il traffico.

Di fronte a una situazione per certi versi insostenibile, documentata dalle foto di viaggiatori furibondi in fila davanti a desolati parcheggi senza vetture (exemplum mirabilis è la Stazione Termini) e dalle statistiche (in Italia in media I taxi ogni 2.000 abitanti, in Francia ogni 1.160 e in Spagna 1.028) persino il ministro Salvini si è sentito in dovere di incontrare la categoria proclamando che è necessario da subito avere più automobili in strada (probabilmente facendo pagare qualcosa al contribuente, maledetto viziaccio).

Andiamo con ordine. È facile capire che se l’offerta di un servizio è limitata dal potere politico (i Comuni non concedono licenze).

quando la domanda aumenta o si raziona il bene (ed è quello che succede per le autovetture bianche) o schizzano all’insù i prezzi (ed è quello che accade per le rare auto Uber Black o Ncc: secondol’Antitrust solo per questi ultimi parliamo di 115 milioni l’anno).

Questa situazione di oligopolio forzato è pressoché inscalfibile se non dall’abusivismo, su cui però vigilano gli attuali 40 mila tassisti e che quindi è abbastanza ridotto. Oltre al disagio per i cittadini e il traffico (ovviamente si fa più ricorso alle auto private), la mancanza di offerta genera una concreta perdita di benessere generale perché non si sviluppa un’attività economica, tra l’altro foraggiata in parte da clienti stranieri.

Tre sono gli snodi.

Uno è l’equiparazione completa degli Ncc con i taxi. I primi sono soggetti a numerose restrizioni (obbligo di tornare in garage, divieto distazionamento su suolo pubblico e di operare in Comuni limitrofi, intervallo di tempo tra un viaggio e l’altro) che, trattandosi di attività già regolamentata, non ha senso.

Il secondo è la competizione con gli autisti non professionisti organizzati attraverso piattaforme informatiche (e app), che abbiamo sperimentato per un breve periodo in Italia con Uber Pop. Questa modalità è sicuramente quella che offre più scelta al cliente e abbassa i prezzi.

Tuttavia, anche le Autorità competenti riconoscono che non si può favorire una concorrenza sleale con le auto bianche che avrebbero doveri di reperibilità, servizio universale o di caratteristiche personali assenti invece per i free-lance. Si tratta perciò di prevedere una serie di requisiti anche per le società che gestiscono le app, oltre che possibili forme di compensazione per i tassisti con licenza.

Infine, le compensazioni sono un tema che emerge pure quando si affronta il tema terzo nodo, vale a dire l’aumento o la liberalizzazione delle licenze. Come è noto esse sono assegnate per concorso dai Comuni senza costi, mentre si è formato un mercato secondario di cessione delle stesse che in certe metropoli hanno raggiunto prezzi dai 100 ai 200 mila euro.

Le soluzioni sono molteplici: un sussidio pubblico agli attuali autisti (attraverso il riacquisto della licenza da parte dello Stato), un’ulteriore licenza pro-capite gratuita e cedibile, la messa all’asta delle nuove licenze con versamento del ricavato agli attuali esercenti. Anche per questo aspetto l’Agcm è stata prodiga di consigli.

Vedremo: intanto giovedì 27 una coraggiosa pattuglia di parlamentari presenterà una proposta liberalizzatrice alla Camera dei deputati che, naturalmente, non viene (absit iniura verbis) spoilerata in questa sede.

Di Alessandro De Nicola

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