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Newsletter Libdem n. 29 – 30/9/2023

Il nostro evento di Lucca

Molto partecipato il nostro evento di Lucca intitolato “Per l’Europa del futuro” organizzato dal nostro coordinatore regionale Paolo Vannini, al quale sono intervenuti il nostro Presidente Andrea Marcucci, i fondatori Oscar Giannino e Alessandro de Nicola e l’eurodeputato di Renew Europe Nicola Danti.

Più di 100 persone in sala a dimostrare che il nostro obiettivo della più ampia convergenza possibile verso una lista unitaria alle prossime elezioni europee non è affatto velleitario.

La politica è l’arte del possibile e del compromesso? Certamente. Pure della lotta per le proprie idee.

 

Giorgia Meloni e la nuova teoria del complotto

Giorgia Meloni evoca il sempreverde complotto del governo tecnico, l’idea che dietro gli aumenti dello spread e le liti con la Germania sulle Ong ci sia un piano per farla sloggiare da Palazzo Chigi.

Ha parlato di complotto lei stessa a La Valletta durante i lavori del vertice EuMed9: «La preoccupazione la vedo soltanto nei desideri di chi immagina un governo democraticamente eletto debba andare a casa per essere sostituito da un governo che nessuno ha scelto. Mi diverte molto il dibattito. Si fanno già i nomi dei ministri. Ma temo che questa speranza non si tradurrà in realtà. L’Italia rimane una nazione solida, che ha una previsione di crescita superiore alla media europea. E a quella di Francia e Germania».

Una evocazione che ci fa sorridere e che ha il sapore di una mossa propagandistica per aizzare il proprio elettorato e indurre la maggioranza all’unità in vista di una manovra che politicamente si rivelerà piuttosto deludente.

Non c’è nessun complotto all’orizzonte. Ci sono il mondo e l’Ue a cui rapportarsi secondo regole precise. Ogni governo cade da sé.

Ci ricordiamo, vero, la teoria del grande complotto applicata alla caduta del governo Berlusconi nel 2011 e ripescata propri in questi giorni in occasione della morte di Giorgio Napolitano?

Chi la evoca scorda sempre la mozione di sfiducia del dicembre 2010, ritardata proprio da Napolitano per permettere la votazione della legge di stabilità, che non abbatté il governo Berlusconi per soli 3 voti, compromettendo però gravemente gli equilibri di maggioranza e gettando le premesse per la caduta un anno dopo.

Ogni governo cade da sé in democrazia.

 

Piantedosi a Bruxelles (Scholz ci aiuta più di Orban)

Giovedì Piantedosi ha mollato prima della fine il vertice europeo dei Ministri degli affari interni, indetto dalla presidenza spagnola per approvare la modifica del Patto europeo sui migranti.

Il governo italiano vuole fare in modo che l’Unione europea si doti di una politica migratoria comune più efficace di quella attuale o preferisce stare dalla parte di Polonia e Ungheria, che semplicemente e sovranamente non vogliono una politica comune su migrazione e asilo?

Questo il dilemma.

Di fatto Piantedosi ha bloccato un’intesa sul c.d. “regolamento crisi”, uno dei pilastri del nuovo Patto migratorio.

In linea con l’annuncio che era stato fatto dal cancelliere Olaf Scholz, la Germania – che a luglio aveva bloccato l’intesa – giovedì ha confermato il suo via libera al testo di compromesso presentato dalla presidenza spagnola.

Ma le concessioni fatte a Berlino non sono andate giù al governo italiano che non ha dato il suo assenso.

Durante la sessione dedicata ai negoziati sul Patto, il ministro Matteo Piantedosi non è intervenuto e poco dopo ha lasciato anzitempo il Consiglio di Bruxelles per rientrare a Roma.

La ragione?

Sarebbero due, in particolare, gli emendamenti introdotti da Madrid per andare incontro alle richieste del governo tedesco, e in particolare ai Verdi, che si stanno rivelando indigesti per il governo italiano.

Nella proposta spagnola di compromesso sarebbe stato cancellato per intero l’articolo 5 del regolamento, che prevedeva la possibilità di derogare agli standard previsti sulle condizioni di accoglienza in caso di forti flussi migratori, un’opzione fortemente voluta dal governo italiano, ma duramente contestata dai Verdi tedeschi.

La presidenza spagnola ha deciso di depennare l’intero articolo, che avrebbe potuto prestarsi a usi distorti lasciando i richiedenti asilo in condizioni precarie.

Altro punto della discordia il passaggio in cui si afferma che le Ong che fanno attività di ricerca e soccorso non potranno essere accusate di “strumentalizzare” i migranti per destabilizzare un Paese.

Di che si tratta?

Del nuovo pacchetto sulla politica migratoria comune fa parte anche la regolamentazione della c.d. strumentalizzazione dei fenomeni migratori.

Fu la Commissione Europea, nel dicembre 2021, a presentare una proposta di regolamento per affrontare le situazioni di strumentalizzazione in materia di migrazione e asilo per rispondere ai fenomeni sempre più diffusi e preoccupanti di Governi di paesi terzi che utilizzano i flussi migratori come strumento per destabilizzare l’Unione Europea ed i suoi Stati membri.

La proposta permetterebbe agli Stati membri di derogare alle proprie responsabilità in materia di diritto d’asilo dell’UE in situazioni di “strumentalizzazione” della migrazione. Il meccanismo previsto dal regolamento sarebbe permanentemente e a disposizione degli Stati membri che possono invocarlo in molteplici situazioni, consentendo loro di derogare ai propri obblighi.

Una proposta che l’Italia dovrebbe voler approvare subito.

Invece, la precisazione – voluta dalla Germania, lasciamo a voi giudicare se in risposta o meno alla polemica sollevata da Meloni sugli aiuti tedeschi alle proprie ong, come se noi non finanziassimo le nostre – che le navi di ricerca e soccorso non potrebbero comunque essere ritenute veicolo di strumentalizzazione a Meloni e Piantedosi non piace.

Una precisazione di compromesso che, andiamo, risulterebbe più che accettabile. Che senso ha fare i processi alle ong? Quelli del governo italiano sono attacchi fuori bersaglio.

Il punto è che Scholz ci aiuta più di Orban.

Il cancelliere tedesco alla fine ha infatti deciso di sconfessare il suo ministro degli Esteri, la verde Annalena Baerbock, molto attenta al rispetto dei diritti dei richiedenti asilo, per fare in modo di raggiungere un compromesso più che accettabile.

Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Austria pretendono invece di cancellare tutte le regole dell’Ue sull’accoglienza e il rispetto dei diritti, lasciando i paesi di confine da soli a gestore il fenomeno.

Il solito cortocircuito sovranista che non fa bene all’Italia: ogni volta che Meloni va a prendere applausi nei congressi dei partiti sovranisti europei prende applausi contro il nostro Paese.

 

La fiducia in Giorgia Meloni è frutto della mancanza di alternative

Nel sondaggio realizzato dall’istituto di ricerca Quorum/YouTrend per Sky TG24 emerge che, dalle ultime elezioni a oggi, la premier è la leader politica valutata meglio: è al 20%, con dietro Conte al 19%. Per quanto riguarda la fiducia, gli italiani la ripongono per il 37% nel leader del M5S e per il 36% nella presidente del Consiglio. Guardando alle intenzioni di voto, rispetto al 25 settembre 2022, a livello nazionale FdI rimane il primo partito al 30,7% (+4,7%).

Per molti sondaggisti un gradimento personale così alto quando quello del governo è in diminuzione è il frutto del fatto che all’orizzonte l’elettorato non vede alternative.

Sbalorditivo e disarmante il giudizio su Conte.

Per noi uno sprono a fare di più e meglio.

 

Meloni e Salvini

In un giorno, in sequenza, Matteo Salvini si è sentito dire dal capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Tommaso Foti, che gli appalti del ponte sullo stretto difficilmente partiranno nel 2024.

E poi è stato il suo ministro, Giancarlo Giorgetti, che nel question time ha bocciato qualsiasi condono perché “il governo non ha intenzione di farne”.

E infine, mentre il Consiglio dei ministri chiamato a esprimersi sulla Nadef e sui migranti era in corso, si è venuti a sapere che è scomparso anche l’articolo del decreto che prevedeva l’intervento della Guardia costiera (grande strumento di propaganda e azione per Salvini) negli hotspot in caso di arrivi consistenti e ravvicinati di migranti sul territorio nazionale provenienti dalle rotte marittime del Mediterraneo.

Poi nella conferenza stampa che illustrava la Nadef è arrivata l’ultima bordata: «Il nostro scopo non deve essere quello di inseguire il consenso, ma raggiungere risultati concreti».

Pochi soldi, insomma, per manovre propagandistiche.

Pochi soldi per Salvini.

Come ha scritto Il Foglio in settimana, la situazione economica non è rosea ma si può gestire, la Lega un po’ meno.

 

Nella Nadef un bagno di realismo in vista della manovra

Sulla Nadef è stato tutto un arretramento. Quaranta miliardi di euro avevano chiesto i partiti della maggioranza (chi più chi meno), ce ne sono venti se tutto va bene.

O meglio, per essere pignoli, ce ne sono dodici, cioè tanti quanti corrispondono ai titoli di stato in più da vendere sul mercato per coprire le spese. Il resto verrà da una spending review che sembra ai minimi termini, da qualche magheggio uscito dalle fertili menti degli abili funzionari del Tesoro, un po’ di aggiustamenti e un pizzico di condoni.

Lo vedremo il mese prossimo quando Giancarlo Giorgetti presenterà la prima vera legge di bilancio in questa nuova era delle aspettative crescenti e della realtà decrescente.

La manovra dovrebbe aggirarsi sui 30 miliardi e dovrà in buona parte fare leva sul deficit.

Nel quadro pluriennale dovrebbero però trovare spazio anche privatizzazioni per circa l’1% del pil (20 miliardi). Inquietante, però, la citazione su MP, che per Giorgetti dovrebbe costituire una «leva per costruire un polo bancario forte».

Un ruolo fondamentale lo giocherà Marcello Sala, indicato quale nuovo direttore generale del dipartimento Economia del Mef, dove, dopo lo scorporo dal Tesoro, ricadranno le partecipate.

Dalla spending review, inoltre, dovrebbero arrivare 2 miliardi.

A pesare sarà in parte l’impatto della politica monetaria restrittiva messa in campo dalla Bce, l’aumento dei tassi d’interesse sottrae infatti risorse dell’ordine di 14-15 miliardi, ma sta dando frutti in termini di contenimento dell’inflazione.

La Nadef ha poi dovuto tenere conto delle revisioni al ribasso sulle previsioni italiane arrivate da un po’ tutte le organizzazioni internazionali. Quest’anno la crescita del pil sarà dello 0,8% e non dell’1%. Il prossimo si stima un’espansione dell’1% a politiche invariate e dell’1,2% con il contributo dei provvedimenti in manovra, mentre il rapporto debito-pil sarà al 140,1%, dal 141,7% del 2022 per arrivare al traguardo del 139,6% nel 2026. Il tasso di disoccupazione è atteso nel 2024 al 7,3%.

Nel 2024 l’indebitamento programmatico, che tiene conto dell’effetto delle misure della legge di bilancio, schizzerà al 4,3% dal 3,6% tendenziale. Ciò vuol dire sforare di circa 14 miliardi. «In Europa capiranno», ha detto Giorgetti. Il livello è infatti oltre il 3% previsto dalle regole di bilancio europee, che il prossimo anno, se non sarà trovato un accordo sulla riforma, torneranno in vigore

Mentre per il 2023, la contabilizzazione del Superbonus porta il rapporto deficit-pil al 5,3% dal 5,2% tendenziale.

È poi confermato il taglio del cuneo fiscale, anche per il prossimo anno. Per il governo si tratta della priorità tra le priorità.

Altre misure dovrebbero riguardare gli interventi a favore delle famiglie con figli e l’attuazione della prima fase della riforma fiscale. Nelle pieghe della Nadef anche i rinnovi contrattuali del pubblico impiego, in particolare quelli della sanità.

Nel frattempo, con il nuovo decreto Proroghe è stata estesa al 31 dicembre l’agevolazione per l’acquisto della prima casa riservata agli under 36.

«Stiamo lavorando per scrivere una manovra economica all’insegna della serietà e del buon senso», ha detto Giorgia Meloni.

 

Il commento di Cottarelli

Sulla Nadef Carlo Cottarelli si è detto deluso. «Certo, non ha sbancato i conti ma non era il caso di impostare una manovra in deficit, oltretutto in un momento in cui bisogna dimostrare all’Europa di saper essere rigorosi».

Per Cottarelli c’è però una parziale attenuante nel calo del PIL.

«Il governo ha dovuto “gonfiare” il deficit per mantenere almeno qualche promessa come il taglio del cuneo. Ne risulta però aggravata la posizione relativa del Paese nel momento in cui è ultimo in Europa come spread e costo del debito. Sarebbe stato meglio iniziare a tempo dovuto un’attenta revisione della spesa, che avrebbe reso meno affannosa la rincorsa a caricare il disavanzo e un domani il debito, che per ora scende solo per l’inflazione. Una spending review triennale avrebbe cominciato già a dare frutti. Rispetto agli anni in cui ero commissario, esistono ancora sacche di improduttività da cui ricavare cifre superiori ai 300 milioni annunciati».

 

Segni di vita dal Parlamento

Come ricorderete, il Governo ha emanato alcune settimane fa un decreto-legge che costituisce la più drastica espansione della facoltà di uso dello strumento delle intercettazioni ambientali e telefoniche nella storia Repubblicana. In che modo? Applicando il già eccezionale regime di intercettazione previsto per i reati di mafia (nessun limite nei luoghi di privata dimora, strapotere delle Procure, obblighi motivazionali drasticamente affievoliti, trojan a go-go) anche a reati comuni commessi “con modalità mafiose”, una aggravante che può essere contestata per le più fantasiose e pretestuose ragioni.

Non è che il Parlamento abbia inteso cancellare questo scempio indecoroso, ma almeno, in un moto di ribellione e di residua dignità, ha pensato che si dovesse porvi un qualche rimedio.

Sono nati così, da una felice triangolazione Forza Italia-ItaliaViva-Azione, alcuni emendamenti, principalmente riferibili ai reati fuori dal catalogo mafioso.

Obbligo di motivazione rafforzata del GIP; obbligo per la PG di “brogliacciare” anche le conversazioni a discarico dell’indagato, e divieto di menzionare anche solo per titoli o per sintesi le conversazioni irrilevanti per le indagini; recupero della più virtuosa giurisprudenza in tema di limitazione dell’uso delle intercettazioni come “pesca a strascico” di reati diversi da quelli per le quali esse sono state autorizzate.

Lega e Fratelli d’Italia, seppur controvoglia, sembrano accettare.

Grazie alla medesima triangolazione esterna IV-Azione-FI, sembra si vada anche verso un netto ritorno al regime di prescrizione sostanziale, cancellando nel modo giusto sia lo scempio della riforma Bonafede, sia l’astruso rimedio della riforma Cartabia.

Insomma, segnali di vita dal Parlamento. Di questi tempi, un’autentica rarità.

 

Navalny

Non c’è tregua per Aleksej Navalny, il principale oppositore del governo russo ora detenuto nella famigerata colonia penale IK-6, a 250 km da Mosca: le condizioni della sua carcerazione sono sempre più aspre, e giovedì ha annunciato su X, dove comunica tramite i suoi legali, che sarà trasferito per i prossimi 12 mesi nel cosiddetto EPKT.

Cioè il peggior carcere duro, con isolamento massimo. Proprio il giorno prima, il tribunale aveva respinto un suo appello per il raddoppio della sua condanna, a 19 anni, che gli era stato comminato il mese scorso per «estremismo». «Un anno di EPKT è la punizione più severa possibile in tutti i tipi di prigioni», ha detto Navalny nel suo breve thread.

Non dimentichiamoci di lui.

 

Il libro della settimana (perché noi i libri li leggiamo, Ministro)

Il manifesto del rinoceronte. L’avventura del liberalismo. Di Adam Gopnik.

Nel momento storico attuale parole come populismo, sovranismo, nazionalismo sono diventate altrettanti leitmotiv della vita politica occidentale; in America come in Europa si aggira lo spettro di un autoritarismo grossolano, tracotante, che rischia di mettere in pericolo il pensiero che da secoli anima la vera democrazia: la tradizione liberale.

Attaccato da destra come da sinistra, mai come oggi il liberalismo ha bisogno di essere riscoperto e tutelato, non come un catalogo di nozioni e diritti astratti, ma come la forma privilegiata con cui la politica si prende cura dei bisogni più concreti della società.

Adam Gopnik, studioso nonché fiero paladino del liberalismo più autentico, ne ripercorre la vicenda storica e concettuale, dalle riforme ottocentesche alle lotte per i diritti civili del secolo scorso, ammettendone i fallimenti ed esaltandone i successi.

Il risultato è un’appassionata – e appassionante – difesa del liberalismo, e al tempo stesso un modo per rileggerne i grandi protagonisti.

Da David Hume a John Stuart Mill, da George Eliot a Emma Goldman, l’autore attinge alla filosofia, alla letteratura e agli ideali alla base di una pratica che vede nel cambiamento graduale il motore più efficiente della società moderna, lontano dalle violenze rivoluzionarie e totalitarie quanto dagli eccessi del capitalismo e della globalizzazione.

È un’avventura avviata cinque secoli fa, e che non ha ancora esaurito la propria forza propulsiva: «Il liberalismo non è una teoria politica applicata alla vita. Piuttosto, è ciò che sappiamo della vita applicato a una teoria politica».

 

 

 

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