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Non ci sono scorciatoie. Il protezionismo non salverà chi non sa fare le riforme

Passata l’emergenza sanitaria, non sono finiti i tentativi di picconare l’impianto europeo con le richieste di rendere permanenti le misure sospensive delle regole sugli aiuti di Stato. Ma da una guerra dei sussidi l’Italia ha solo da perdere

Il concetto di globalizzazione ha incontrato le prime serie difficoltà nel 2007 allorché il round negoziale di Doha promosso dalla World Trade Organization si concluse con un nulla di fatto.

Anni dopo, l’elezione di Trump che pose fine all’adesione degli Stati Uniti a nuovi trattati multilaterali, l’adozione di politiche protezionistiche e fenomeni come la Brexit costituirono ulteriori colpi di freno. Ma la pandemia e la guerra in Ucraina, con il suo portato di sanzioni e di diffidenza strategica tra le nazioni, sembrano aver messo ulteriormente in crisi il fenomeno. Chi ha più da perdere da un mondo che commercia di meno, protegge e sussidia le industrie e alza barriere non tariffarie è certamente l’Europa, continente aperto ai traffici e che tuttora produce merci ad alto contenuto tecnologico.

In questi mesi si intersecano due temi che sono emersi anche di recente persino al G7 di Hiroshima: gli aiuti pubblici alla transizione ecologica e la cosiddetta “economic security”. che definisce l’insieme di politiche che vogliono ridurre la dipendenza del mondo libero per alcuni prodotti “strategici” (dai pannelli solari al gas) da Paesi ostili (Russia) o non amichevoli (Cina). In questo contesto il presidente francese Macron ha annunciato che la Francia concederà incentivi a chi acquista auto elettriche sulla falsariga di quanto prevede l’Inflation Reduction Act statunitense che tanto preoccupa gli europei. La legge americana, difatti, concede questa e altre agevolazioni solo a prodotti made (prevalentemente) in Usa tant’è che l’Ue ha depositato un reclamo al Wto.

I sussidi transalpini sono destinati all’industria europea («non si vede perché i contribuenti francesi debbano sovvenzionare le imprese straniere» ha commentato Macron) ma con un escamotage teso a evitare la violazione delle regole Wto: per ottenerli, le auto dovranno rispettare rigidi standard ecologici attualmente non in possesso delle auto americane e tanto meno di quelle cinesi. Così facendo, in effetti, la forma è salva, anche se non passerà molto tempo prima che i concorrenti si adeguino.

La Francia però si muove su molteplici terreni, uno dei quali è quello europeo, dove Parigi è tra i capofila dei Paesi che vorrebbero un allentamento delle regole sugli aiuti di Stato, previste fin dal 1957 dal Trattato di Roma.

All’epoca i padri costituenti scelsero di non prendere posizione contro la proprietà pubblica delle imprese, ma introdussero un saggio principio: i finanziamenti pubblici a un’impresa erano ammissibili solo se un imprenditore privato li avesse concessi alle medesime condizioni, altrimenti si trattava di un sussidio distorsivo della concorrenza.

Naturalmente gli Stati si ingegnarono a trovare misure equivalenti (tipo la concessione di sgravi fiscali solo alle proprie imprese) ma la Commissione europea, supportata dalla Corte di Giustizia, è rimasta in flessibile per 60 anni, condannando anche le norme sotterfugio.

Tuttavia già dalla seconda metà del decennio scorso si levarono più voci per allentare un po’ il regime in vigore nel nome della formazione di “campioni europei*. Nel febbraio 2020 la tragedia del Covid ha sconvolto il quadro e la

Commissione con vari provvedimenti ha introdotto numerose eccezioni per salvare molte imprese dal fallimento, Finita l’emergenza sanitaria, però, non sono finiti i tentativi di picconare l’impianto europeo attraverso richieste di rendere permanenti quelle che erano misure sospensive temporanee.

Questo affilato dirigista è fondamentalmente sbagliato. In primis, se si scatena una guerra del sussidio l’Europa perderà di sicuro. A causa del loro generoso welfare i debiti pubblici di molti Stati europei sono enormi e non c’è molto spazio di manovra oltre a quanto già deliberato (sempre in chiave anti-pandemia) col piano Next Generation Eu. Perdente tra i perdenti sarebbe poi l’Italia. A livello europeo Germania e Francia hanno rappresentato quasi l’80% degli aiuti di Stato approvati dalla Commissione durante la pandemia, l’Italia si è fermata ad un misero 4,7%. Regole più lasche favorirebbero chi ha bilanci solidi e quattrini a disposizione senza contare che il Bel paese è sconfortante nella sua capacità di investire anche quando soldi ci sono: basti ricordare che non riusciamo a spendere almeno un terzo dei fondi europei dei piani settennali e persino con il Parr non sappiamo che pesci prendere.

Nonostante il ministro Salvini sia subito salito sul carro di Macron per proteggere l’auto europea, non ci sono scorciatoie.

Il protezionismo, sotto qualsiasi forma, non salverà un Paese che non ha attuato le famose riforme a costo zero che si possono tradurre in tre concetti: moderato carico fiscale, certezza del diritto e semplicità delle regole, giustizia e pubblica amministrazione efficiente e tanta concorrenza.

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