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Perché appoggiamo Marco Cappato

L’esecutivo del nostro movimento ha deciso di appoggiare la candidatura di Marco Cappato nelle suppletive di Monza.

Le ragioni di tale appoggio sono le seguenti:

  • riteniamo Marco Cappato un liberale, di scuola radicale, certo, ma comunque un membro della nostra famiglia politica;
  • a gennaio, a Milano, nel corso dell’evento di presentazione del nostro movimento, Marco fece un intervento molto applaudito, dimostrando tutta la sua vicinanza al progetto Libdem;
  • Marco ci ha chiesto lui stesso un appoggio, soprattutto sui temi economici, il che, secondo noi, dovrebbe mettere in imbarazzo la sinistra che a caldo si è dichiarata a favore della sua candidatura, salvo poi rendersi conto che per un liberale la libertà economica è una condizione della libertà politica, entrando un po’ in crisi anche per questo;
  • Cappato corre solo per se stesso? La candidatura di Marco è da indipendente, senza simboli di partito: noi appoggiamo lui e le sue battaglie;
  • come faremo ad appoggiare Cappato se lo faranno anche Bonelli e Fratoianni? Il problema sarà loro, non nostro;
  • Marco è troppo progressista rispetto alle politiche ambientali? Il teorema di Coase del 1960 non regge se non in condizioni di concorrenza perfetta e a costi di transazione nulli, il che non può verificarsi quando il livello di inquinamento da contrastare oltrepassi la sfera di privati confinanti o la capacità di gestione di società di mediazione dei conflitti e assuma una portata così vasta come quello che influisce sul cambiamento climatico: in tali casi un limite alle emissioni tramite la regolazione o un’imposta pigouviana che tassi le esternalità negative tornano ad essere soluzioni da considerare; la proposta che sostiene Marco non è dirigista e tenta un approccio che lasci spazio al mercato: spostare la tassazione dal lavoro alle emissioni;
  • Marco è troppo divisivo rispetto a questioni etiche? Può darsi, ma nessuno come lui si è battuto in Italia per la libertà di scelta dell’individuo;
  • non possiamo scordarci in ogni caso il garantismo di Cappato in materia di giustizia, la sua lotta contro i monopoli e le sue battaglie per la libertà scientifica (compresa la carne coltivata) e la democrazia;
  • abbiamo ritenuto che la maggioranza dei nostri iscritti e soprattutto i più giovani si aspettassero tale appoggio;
  • la battaglia di Marco nel collegio lasciato vacante da Berlusconi è molto simbolica e consentirà di tirare le somme anche sulla presa in giro della fantomatica rivoluzione liberale tanto propagandata negli anni: chi ha fatto di più per la libertà in Italia, Marco o il Cavaliere?
  • l’esecutivo ha preso in considerazione anche l’opzione di astenersi nella corsa per le suppletive di Monza, ma l’ha ritenuta una opzione non valida perché avrebbe denotato mancanza di coraggio e disimpegno rispetto a temi che, invece, per noi rimangono comunque molto importanti.

In difesa di questa scelta abbiamo ricevuto e volentieri pubblichiamo l’intervento di Alessandro Zangrilli, giovane iscritto di Roma:

“L’appoggio di Libdem alla candidatura di Cappato può sollevare qualche sopracciglio. Se lo storico radicale è indiscutibilmente simbolo di battaglie sulla libertà personale e di ricerca scientifica, alcuni sollevano dubbi sulla centralità che sembra porre al tema del cambiamento climatico.

Partiamo da un presupposto: il cambiamento climatico esiste e l’azione umana ne è la principale causa.

Da destra abbiamo una sostanziale negazione del problema mentre a sinistra è stata colta l’occasione per riproporre la solita ricetta: dirigismo e pianificazione economica, con conseguenti riduzioni delle libertà personali e povertà (ora chiamata “decrescita felice”).

Cosa propone il candidato Cappato? Uno strumento chiamato Carbon Tax (tassa che già esiste), una tassazione sulle emissioni di Co2 che andrebbe a finanziare una riduzione del costo del lavoro per le imprese.

Questo eviterebbe di scaricare il costo della tassa sul consumatore, consentendo alle imprese di sfruttare il minor costo del personale investendo in R&D per migliorare i processi di produzione riducendo le emissioni inquinanti (per evitare la tassazione) e rimanendo competitivi.

Questo tipo di tassazione in ottica liberale ha diversi aspetti positivi:

– è tecnologicamente neutra: invece di puntare ad una sola tecnologia specifica ogni settore, azienda e zona potrà pianificare la riduzione come meglio crede;

– utilizza la forza del mercato: alla pesante macchina burocratica dei ministeri viene sostituito l’interesse delle imprese che sono il soggetto più in grado di comprendere come meglio sfruttare ciò che hanno e ciò che li circonda per ridurre le loro emissioni;

– riduce il costo del lavoro: il costo del lavoro per le imprese è un preistorico problema italiano. Questo cambio di paradigma può rivelarsi fruttuoso per i redditi e le assunzioni.

Se è una soluzione solo positiva però perché a proporla sono in pochi? Essendo liberali questo non dovrebbe stupirci, siamo campioni di proposte impopolari.

In primis a molti partiti l’idea di lasciare la ricerca di soluzioni al mercato non piace, è contro la loro natura.

L’approccio dirigistico che consente la spartizione di poltrone ed incarichi è un sistema molto più usuale in Italia ed in molti non vogliono che si cambi.

Bisogna poi considerare il costo politico della proposta. Il tentativo di proporre una tassa simile fu fatto da Macron in Francia portando alla nascita dei gilet gialli. Non tutti i governi vorrebbero affrontare il pericolo di un dissenso simile.

In ultimo questo tipo di imposta ha come scopo ultimo quello di promuovere la riduzione delle emissioni, non di garantire ulteriori entrate allo Stato.

Per questo c’è da considerare che se le emissioni dovessero diminuire nel tempo assieme a queste si ridurrebbero di conseguenza le entrate per le case pubbliche.

Questa diminuzione delle entrate fiscali potrebbe essere utilizzata, se il paese avesse dei liberali disposti a prendersi carico della battaglia, per motivare un taglio della spesa pubblica progressivo ed organico proporzionato alla riduzione delle emissioni e quindi delle entrate della Carbon Tax.

Una breccia nel Leviatano italiano che la maggior parte dei partiti rappresenta invece di combattere.

Un ultimo appunto importante: promuovere la costante ricerca e adozione di tecnologie innovative per la riduzione delle emissioni e l’efficienza dei consumi deve essere visto come un preciso dovere occidentale ed Europeo se si vuol sostenere ancora la validità delle democrazie liberali.

Nel mondo abbiamo superato gli 8 miliardi di persone. La maggior parte di queste non vive uno stile di vita come quello europeo, ma lo desidera. Ogni persona ha sempre desiderato migliorare la propria situazione e quella dei propri figli. Non possiamo permetterci però che i consumi legati al nostro stile di vita siano moltiplicati per 8 miliardi, è impossibile.

Per questo abbiamo due strade: un conflitto decennale con Africa e Asia legato a costanti flussi migratori verso l’Europa per mantenere lo status quo non permettendo la crescita di quei paesi oppure collaborare internazionalmente ad un modello sostenibile che sia replicabile per 8 miliardi di persone.

Questa seconda strada è attualmente prerogativa degli autoritarismi, in particolare quello cinese, che sulla transizione energetica e lo sviluppo sostenibile sta dettando il ritmo di marcia.

Vogliamo davvero lasciare all’autoritarismo cinese il primato della tecnologia e dello sviluppo in ambito di economia sostenibile?

La Carbon Tax ed altre proposte simili possono essere la risposta di mercato, liberale e basata sulla fiducia nell’impresa individuale che le liberaldemocrazie possono lanciare alla Cina. Un approccio basato sulla fiducia delle potenzialità delle imprese, opposto ad un approccio dirigistico che si fida solo del controllo dittatoriale dell’economia.

Non dobbiamo avere paura di abbracciare battaglie come quella sull’ambiente per il rischio di essere confusi con ecosocialisti o verdi vari.

Siamo liberali, non anarchici, ed accettiamo che il Governo possa affiancarsi alla forza del mercato. Non abdichiamo a questo ruolo e non abbandoniamo l’idea di poter formulare proposte proprie perché dove non arriverà la liberaldemocrazia non ci sarà il vuoto, ma l’autoritarismo a colmare la nostra assenza”.

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