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Politiche attive del lavoro serie, basta sussidi

La riforma del Reddito di Cittadinanza promette di essere nuovo terreno di scontro nella maggioranza, come accaduto sul decreto migranti. Ed è impossibile effettuare analisi approfondite su un testo in arrivo, perché le anticipazioni sono state subito smentite ed è evidente che Salvini è interessato solo a una stretta severa, volta solo a far dimenticare che il RdC nacque dal suo assenso nel primo governo Conte. Ma nell’infinità di punti molto delicati, uno su tutti è fondamentale, riguarda l’occupabilità. Se si fa un nuovo pasticcio su questo, anche la riforma sarà fallimentare.

Nelle società avanzate moderne, tonnellate di studi economico-sociali omprovano che la povertà non è un fenomeno dovuto al numero circoscritto di variabili causali che pesano sui Paesi meno avanzati. Nell’area OCSE la povertà è multivariabile, ogni Paese mostra che le caratteristiche del suo welfare, e la capacità di distinguere con strumenti e percorsi diversi i sussidi alla povertà dai percorsi di avviamento al lavoro, sono insieme decisivi per affrontare la piaga. Questo è il motivo per cui l’Italia è diventato un cattivo esempio di scuola: raddoppiare insieme la spesa sociale a carico della fiscalità generale – cioè non bilanciata da entrate fiscali e contributive – e il numero di poveri è un fallimento macroscopico. Sicuramente vanno ridefiniti soggetti e tetti del sussidio assistenziale, e appare comprensibile privilegiare le famiglie numerose e con disabili rispetto ai single. Stando attenti però a dare anche risposta all’ingiustizia sin qui riservata ai poveri del Nord, tagliati fuori da tetti ISEE standard a livello nazionale quando non a caso l’Istat misura povertà assoluta e relativa secondo soglie diverse commisurate alle curve di costo territoriali. E’ un tema su cu il rischio di vietnam sociale animato dai 5S è molto forte, il governo dovrà corredare la riforma della parte assistenziale del Rdc con analisi serie sul suo impatto sociale.

Ma se davvero, come annunciato, la scelta di fondo è affrontare il fallimento dell’avvio al lavoro dei poveri “occupabili”, conseguenza dell’aver confuso assistenza sociale e lavoro quando rispondono a strumenti e metriche e competenze del tutto diversi, la soluzione richiede una visione lunga e multifattoriale.

Oggi non abbiamo una definizione standard di poveri “occupabili”, visto che i criteri del Rdc differiscono da quelli della metodologia del progetto GOL cui il PNRR destina ben 4,4 miliardi. Né di che cosa davvero significhi la “presa in carico” degli occupabili, che nella prassi ha finito per identificare anche solo un mero scambio di mail identificative. Di conseguenza, bisogna partire da una classificazione precisa alla firma stessa del patto digitale di attivazione: serve una precisa identificazione delle sue pregresse esperienze formative e/o di lavoro. Il che significa che sin dall’inizio INPS e l’intero sistema dei Comuni e Autonomie devono riferirsi a una sola banca dati interoperabile, perché nell’attivazione del patto digitale per accedere ai sussidi finiscono insieme – ma distinti – sia gli occupabili sia i non occupabili.

Secondo: tutti i dati degli occupabili devono entrare in una banca dati digitale interoperabile aperta a tutti i soggetti pubblicamente accreditati come attori delle politiche attive del lavoro, su piede paritario, sia pubblici sia privati. Non solo gli inefficienti Centri Pubblici per l’Impiego ma tutte le Agenzie Private per il Lavoro, che conoscono da vicino e sul serio i fabbisogni delle imprese settore per settore, e ottengono risultati molto migliori per i profili di formazione che intermediano.

Terzo punto: la nuova piattaforma digitale unica delle politiche attive del lavoro non riguarda solo le proposte di formazione e lavoro per i poveri occupabili, è la stessa su cui deve incardinarsi l’intera riforma delle politiche attive nazionali, aperta sia a tutti gli italiani sia agli immigrati da occupare, di cui abbiamo assolutamente bisogno. Con un tasso di partecipazione al lavoro degli italiani lontano di 10-18 punti dai paesi nordeuropei e proiettando in avanti l’attuale curva demografica, l’offerta di lavoro nella fascia 15-64 entro il 2030 registrerà un calo di ben il 6% sul totale 2021, con punte nel Sud fino al 12%. Servono centinaia di migliaia di lavoratori in più: per questo la riforma del canale-occupabilità del Reddito di Cittadinanza deve essere concepita come mera anticipazione di una organica strategia nazionale volta a più occupati.

Quarto punto: se si crede davvero all’occupabilità come una delle priorità dello sviluppo nazionale, allora il primo passo da compiere riformando il RdC non può restare un pilastro isolato. Deve esser parte di un piano multivariato. Cioè collegato organicamente a una lunga serie di interventi coerenti allo stesso fine, che passino insieme dalla riforma fiscale, da quella contributiva e previdenziale, del sistema formativo pubblico e della formazione professionale permanente. Nell’esperienza dei Paesi avanzati politiche attive efficaci del lavoro sono figlie di questa visione organica coordinata, non di un solo decreto.

Certo, è complicato. Molto più complicato che ridurre la questione a bandierine tipo “meno sussidi e andate a lavorare”, come sbandiera Salvini. Ma i proclami identitari portano a sbattere, e l’Italia ha già troppi guai per una nuova stagione di scontro sociale a svantaggio di chi sta peggio, e malgrado i quasi 28 miliardi che il Rdc di cittadinanza è costato dal 2019 a fine 2022.

Di Oscar Fulvio Giannino

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