Vai al contenuto
Home » News » Ponte sullo Stretto: i numeri che dicono no a Salvini

Ponte sullo Stretto: i numeri che dicono no a Salvini

Se digitate su Google “ritardo opere pubbliche”, i risultati ammontano a tre milioni e duecentotrentramila.

Ma l’Italia di questo decennale problema non riesce a venire a capo.

Tonnellate di decreti-semplificazione accumulati negli anni, e il governo attuale ha malriformato ancora una volta il Codice degli Appalti. Viviamo sospesi in una forbice irrisolta. Da una parte, il PNRR doveva imprimere una sferzata per tempi e procedure.

Ma nella dispersione in mille rivoli dei suoi 195 miliardi di risorse, l’errore di Conte fu di infilare nel PNRR moltissimi progetti infrastrutturali pendenti da anni e decenni.

Che però non erano stati avviati né con procedure né con tempi compatibili con il PNRR, e che nell’impossibilità di essere rivisti ab origine per allinearli a tali esigenze oggi il ministro Fitto pensa sia meglio levare dal PNRR per ridestinarli a finanziamento dei fondi ordinari UE, con tempi più lunghi rispetto al 2026 in cui il PNRR scade.

Ovviamente, le Autonomie sono contrarie: vedremo entro fine agosto – si spera – come finirà. Dall’altra parte invece c’è Salvini, il ministro per cui le opere vanno fatte nella massima fretta e senza spaccare il capello in quattro.

Come il Ponte sullo Stretto, di cui ha promesso lavori avviati nel 2024, e per il quale ha riesumato la vecchia società “Stretto di Messina Spa” nata nel 1986 e mesa in liquidazione dal governo Monti 12 anni fa. Senza un’analisi costi benefici, perché “bisogna osare come fecero Michelangelo e Raffaello”, dice il ministro.

Nell’informazione generalista la cosa non ha destato attenzione. Al contrario, è solo l’ennesima riconferma che non impariamo mai nulla dalla miriade di errori del passato.

Eppure il progetto richiamato in vita ha molte caratteristiche per cui andrebbe valutato e controvalutato per costi, benefici e rischi, a cominciare dal fatto che sarebbe un ponte a campata unica lungo più del doppio di qualunque altro simile nel mondo, per di più in un’area supersismica.

Nel silenzio generale, è dunque benemerita la pubblicazione di una prima analisi effettuata da Bridges Research, il think tank indipendente sull’economia dei trasporti fondato dal benemerito professor Marco Ponti e di cui è direttore generale il professor Francesco Ramella. Salvini e il consorzio guidato da WeBuild cui è affidata l’opera siano rimasti muti, di fronte al paper.

La speranza è che il parlamento non voglia seguire la stessa linea. L’analisi di Bridges Research è un’analisi dei costi e benefici economici e sociali complessivi dell’opera. La metodologia è quella delle Linee Guida del Ministero dei Trasporti.

L’analisi economica differisce da quella finanziaria, il suo obiettivo è misurare sia i vantaggi che gli svantaggi per tutte le parti coinvolte dall’opera. L’impatto economico complessivo richiede di calcolare sia il surplus eventuale a beneficio degli utenti in termini sia di costi sia di tempi, sia quello per il produttore cioè lo Stato, sia quello per il conto economico di chi gestisce gli attuali diversi segmenti di traffico, poi l’esistenza o meno di un surplus vantaggioso per la variazione apportata dall’opera alle esternalità negative (incidenti, emissioni climalteranti), e infine i costi dell’investimento.

La somma algebrica con segno più o meno delle componenti porta al risultato finale, cioè alla stima del vantaggio o svantaggio economico-sociale dell’opera. Sul sito di Bridges Research trovate il documento, con la precisa indicazione di tutti i parametri quantitativi assunti per elaborare la stima di ogni componente.

Qui ricordiamo solo che in vent’anni le componenti marittime e aeree da e per la Sicilia sono molto aumentate mentre l’attraversamento complessivo dello Stretto calava in 20 anni del 29% per i mezzi leggeri e del 42% per quelli pesanti. Che le emissioni di CO2 sarebbero fortemente aumentate nella lunga realizzazione dell’opera e solo dopo 17 anni capaci di raggiungere il breakeven. E che nella si prendono per buona – in un esercizio di ottimismo – i 13,5 miliardi indicati dall’Allegato Infrastrutture del DEF come carico dello Stato per realizzare l’opera.

La somma algebrica finale è negativa: fare il Ponte come da progetto comporta una perdita di benessere economico-sociale di 3,6 miliardi, il rapporto benefici/costi è pari a 0,68. I benefici sarebbero rilevanti per i passeggeri (4,8 miliardi) e le merci (1,6 miliardi). Ma le altre voci di surplus non pareggerebbero l’onere di realizzazione e manutenzione dell’opera.

A meno che, s’intende, nei prossimi 40 anni la crescita media annuale del Paese sia almeno dell’1,7%, ossia doppia rispetto alla media dei decenni alle nostre spalle, e che la curva demografica s’impenni. Poiché poi l’85% dei benefici del ponte è per il trasporto su gomma, andrebbe almeno cambiato il progetto senza prevedervi i binari ferroviari, visto che di Alta Velocità in Calabria e Sicilia non se ne parla.

Se ne occuperà il parlamento, o tutti muti con Salvini?

Di Oscar Fulvio Giannino

Condividi