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Newsletter Libdem n. 18 – 15/07/2023

L’ambiente nei manifesti liberali

Il Manifesto di Oxford del 1997 (Agenda liberale per il 21° secolo) annoverava “il degrado ambientale in un mondo sovrappopolato”, così come “l’inquinamento ambientale e la minaccia di mutazioni climatiche”, fra le sfide al liberalismo e alla cooperazione internazionale, aggiungendo che “Il principio della prevenzione dovrebbe essere il principio guida in tutta l’attività umana (…), in modo particolare per la minaccia dei cambiamenti climatici, che l’umanità deve affrontare immediatamente”.

Il Manifesto di Andorra del 2017 dell’Internazionale Liberale afferma che “In termini economici, sociali e ambientali, la società globale deve essere sostenibile sia oggi, sia nel lungo periodo. Ciò richiede una gestione integrata e sostenibile delle risorse naturali e degli ecosistemi”.

Con il Manifesto 2019 i Libdem inglesi si sono posti, fra gli altri, l’obiettivo di “Garantire che l’ambiente venga protetto per le generazioni future, assicurando aria pulita da respirare e un’azione urgente per affrontare l’emergenza climatica”.

Con il Manifesto per le elezioni europee 2019 l’Alde Party ha affermato di ritenere “che una maggiore cooperazione internazionale su clima e ambiente sia fondamentale per raggiungere gli obiettivi posti dall’accordo di Parigi e gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) [Agenda 2030] e che l’UE debba assumere la guida nel fissare obiettivi ambiziosi a livello”.

Naturalmente, proprio perché liberali, l’obiettivo di salvaguardare il pianeta nell’interesse primario degli individui che lo abitano non può essere perseguito sacrificando sull’altare della transizione energetica e della lotta ai cambiamenti climatici altri diritti dell’individuo.

Il nostro compito è e sarà sempre quello di trovare il giusto equilibrio fra istanze conservatrici e istanze progressiste.

La lotta ai cambiamenti climatici, però, è un obiettivo dell’azione politica dei liberali del ventunesimo secolo e su questo è bene che non ci siano equivoci.

La proposta di un regolamento sul ripristino della natura (Nature Restoration Law) presentata dalla Commissione Ue (in particolare dal Commissario e vice Presidente Frans Timmermans) è una proposta ambiziosa e di stampo chiaramente progressista, nel senso che individua degli obiettivi il cui raggiungimento (per tempi e dimensioni, soprattutto) viene ritenuto così urgente da imporre certi sforzi e sacrifici.

La proposta (potete leggere qui il testo della relazione ricco di note di rimando) mira a ripristinare gli ecosistemi, gli habitat e le specie nelle zone terrestri e marine dell’UE al fine di consentire il recupero a lungo termine e duraturo delle biodiversità e la resilienza della natura, contribuendo al conseguimento degli obiettivi dell’UE in materia di mitigazione dei cambiamenti climatici e adattamento agli stessi.

Vi sono obiettivi specifici per gli habitat erbosi, per quelli agricoli e forestali, per invertire il declino degli impollinatori, per l’aumento degli spazi verdi nelle aree urbane, per la conservazione delle coste e degli habitat marini.

 

Il voto in settimana al Parlamento Ue

In settimana il Parlamento Ue era chiamato a votare una risoluzione presentata dai popolari di Manfred Weber per il rigetto totale della proposta di regolamento sul ripristino della natura della Commissione.

Weber sta lavorando da tempo per una nuova maggioranza in Europa tutta orientata a destra fra popolari, conservatori e estremisti (li chiamiamo così, sì: ci stanno Lega, Marine Le Pen e AfD, ne abbiamo già parlato qui) e la sua idea era di presentare ai cittadini europei questa nuova maggioranza esibendo uno scalpo tipicamente progressista.

Un voto delicato, perché, come qualcuno ha rilevato, un voto risicato per il sì avrebbe regalato argomenti alle destre negazioniste ed anti Europa, mentre un no avrebbe dato fiato a quella sinistra che sull’ambiente ha un approccio ideologico.

Alla fine Weber ha perso. I popolari si sono divisi e Renew Europe è risultata determinante per evitare, da una parte, che la legge venisse affossata e, dall’altra, per fare in modo che il suo impatto sia più graduale.

Grazie ad una serie di emendamenti proposti da Renew Europe, il mandato parlamentare prevede adesso una serie di misure intermedie e una maggiore gradualità, per favorire impatti più soft della legge sui sistemi economici.

La risoluzione votata precisa infatti che la legge si applichi solo quando la Commissione avrà fornito dati sulle condizioni necessarie per garantire la sicurezza alimentare a lungo termine e quando i paesi dell’Ue avranno quantificato l’area che deve essere ripristinata per raggiungere gli obiettivi di ripristino per ciascun tipo di habitat.

Il Parlamento ha previsto inoltre la possibilità di posticipare gli obiettivi nel momento in cui ci si dovesse trovare di fronte a conseguenze socioeconomiche eccezionali.

Non solo: ci sarà anche la valutazione sull’eventuale divario tra le esigenze finanziarie per il ripristino e i finanziamenti dell’UE disponibili e i modi per colmare questo gap anche con “strumenti dedicati”, leggi fondi comuni come il Next generation Eu.

Con l’adozione del “mandato negoziale” approvato dal Parlamento, ora possono iniziare i negoziati tra Parlamento e Consiglio (che condividono la funzione legislativa, mentre la Commissione ha solo potere di proposta), il quale ultimo aveva già adottato una propria posizione a riguardo il 20 giugno.

Eloquente la dichiarazione di Sandro Gozi in merito: “Manfred Weber ha tentato di prendere in ostaggio la natura con l’obiettivo di creare un’alleanza ‘contro natura’ insieme all’estrema destra. Una strategia fallimentare e suicida di assecondare i sovranisti e gli estremisti, e la dimostrazione concreta di come sarebbe una maggioranza tra il Ppe e l’Ecr nel prossimo Parlamento europeo. Weber ha superato una pericolosa linea rossa, allineandosi con ideologie contrarie ai valori europei. Questo tradimento dei nostri principi fondamentali non può essere tollerato. D’altro canto, noi rimaniamo fedeli ai nostri principi e lavoriamo per preservare la natura, mettendo da parte i malsani giochi politici. La scelta di oggi la dovevamo a noi stessi e alle generazioni future”.

 

Verso il superamento del principio dell’unanimità

Come sapete, il Consiglio dell’Ue (da non confondere con il Consiglio europeo) è l’organo dell’Unione che condivide con il Parlamento la funzione legislativa. In esso trovano rappresentanza diretta i governi degli Stati membri.

Il Consiglio Ue decide all’unanimità su una serie di questioni considerate particolarmente sensibili dai trattati (cioè dagli stessi Stati membri che li hanno negoziati):

  • politica estera e di sicurezza comune;
  • cittadinanza (concessione di nuovi diritti ai cittadini UE);
  • adesione all’UE;
  • armonizzazione della legislazione nazionale in materia di imposte indirette;
  • finanze UE (risorse proprie, quadro finanziario pluriennale);
  • alcune disposizioni in materia di giustizia e affari interni (Procura europea, diritto di famiglia, cooperazione di polizia a livello operativo, ecc.);
  • armonizzazione della legislazione nazionale in materia di sicurezza sociale e protezione sociale.

In settimana il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione di Giuliano Pisapia per chiedere un più ampio ricorso al voto a maggioranza e all’attivazione delle clausole (c.d. clausole passerella) che consentono di derogare ai meccanismi di voto all’unanimità.

L’opzione passerella è una procedura introdotta dal Trattato di Lisbona che consente al Consiglio europeo di adottare una decisione per il voto a maggioranza qualificata laddove sarebbe invece prevista la regola dell’unanimità.

Si tratta però di un cortocircuito: il Consiglio europeo potrebbe infatti approvare una clausola passerella per sbloccare l’impasse sull’unanimità, ma potrebbe farlo solo ricorrendo ad un voto di deroga da adottare a sua volta all’unanimità.

Per questo, la risoluzione a firma Pisapia afferma “che l’attivazione delle clausole passerella dovrebbe essere possibile attraverso il voto a maggioranza qualificata (e non più all’unanimità, n.d.r.) e chiede che i trattati siano modificati per consentirlo”.

Insomma, i cittadini rappresentati al Parlamento Ue vorrebbero il superamento del principio di unanimità, mentre alcuni Stati si oppongono.

Il tema del superamento del voto all’unanimità è tornato attuale con la costituzione in seno al Consiglio Ue di un blocco di Paesi – il cosiddetto “Gruppo di amici del voto a maggioranza qualificata” -, un’iniziativa promossa dalla Germania nei mesi scorsi con altre otto Capitali europee: Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Slovenia e Spagna, il cui obiettivo è di “migliorare l’efficacia e la rapidità del nostro processo decisionale in politica estera.

Sullo sfondo della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina e delle crescenti sfide internazionali che l’Ue sta affrontando, i membri del gruppo sono convinti che la politica estera dell’Ue necessiti di processi e procedure adeguati al fine di rafforzare l’Ue come attore di politica estera.

 

Il vertice NATO di Vilnius

Il vertice Nato di Vilnius non è andato forse come Volodymyr Zelensky aveva sperato.

Nonostante l’Ucraina abbia ottenuto diversi risultati, le è stato negato quello a cui teneva di più: la concessione di un percorso chiaro e preciso per l’ingresso nell’Alleanza atlantica.

Un tema che, a guerra ancora in corso, è stato giudicato troppo delicato dagli alleati.

Se da una parte è stata eliminata la necessità per Kiev di passare attraverso un processo di adesione piuttosto complesso, le conclusioni del Summit nella capitale lituana si limitano ad affermare che il Paese potrà entrare nell’Alleanza solo “una volta che gli alleati saranno d’accordo e le condizioni saranno soddisfatte”.

Parole piuttosto vaghe che tradiscono la distanza che esiste tra gli Stati Uniti e la Germania, che sul tema sono sempre stati cauti, e diversi membri dell’Europa centrale e orientale, sostenuti da Regno Unito e Francia, che avrebbero preferito un processo accelerato.

Qui potete leggere le conclusioni del vertice, che hanno lasciato un certo disappunto in Zelesnky.

Il ministro della Difesa britannico, Ben Wallace, ha bacchettato il presidente ucraino, affermando di aver avvertito l’Ucraina che i suoi alleati internazionali non sono “Amazon”, chiedendogli di mostrare gratitudine per le donazioni di armi.

Il leader ucraino ha poi abbassato i toni, ingoiando il suo disappunto e affermando che i risultati del vertice sono stati buoni anche se non c’è stato un invito formale per l’adesione.

Il punto politico, però, è che oggi Kyev è ancora più vicina alla Nato e che l’Alleanza è più forte oggi rispetto a quando è iniziata l’invasione.

Comunque vada, il progetto di Putin di un nuovo ordine europeo è fallito totalmente: ha così tanto propagandato l’idea di essere accerchiato da accerchiarsi e isolarsi da solo.

A Vilnius si chiude il cerchio della sconfitta politica di Putin: l’Alleanza si è allargata da 30 a 32 Paesi, i veti della Turchia sono caduti e il controllo si è esteso sull’Artico (7 degli 8 Paesi che vi si affacciano sono Paesi membri).

Al contempo, l’Alleanza si è rafforzata anche sull’Indopacifico, con Giappone, Australia, Nuova Zelanda e Sud Corea invitati al vertice.

Perché, come ha detto il Segretario Stoltenberg, “si tratta di un’Alleanza atlantica, ma la sicurezza è globale e le sfide tutte interconnesse”. 

 

Giustizia

La proposta di riforma di Carlo Nordio prevede l’eliminazione del reato di abuso d’ufficio, stringe le maglie delle intercettazioni, frena sull’applicazione delle misure cautelari e interviene sulla delicata (e scivolosa) materia del “traffico di influenze”.

Nel colloquio di giovedì con il Governo il Presidente Mattarella avrebbe rilevato alcune criticità, ma il suo via libera alla presentazione del disegno di legge al Parlamento non è naturalmente in discussione.

La preoccupazione principale del Capo dello Stato era di abbassare il volume delle polemiche e riportare il confronto sulla giustizia entro gli argini della correttezza istituzionale.

Un obiettivo che condividiamo, avendo evitato accuratamente di leggere anche una sola riga di tutto quanto vergognosamente uscito sui giornali a proposito delle indagini che riguardano Daniela Santanché e il figlio di Ignazio La Russa.

Sul merito della riforma, non possono che trovarci d’accordo interventi su figure di reato dai contorni troppo incerti, sulla limitazione della pubblicazione di intercettazioni e atti di indagine e sul contenimento del ricorso facile alle misure cautelari.

L’obiettivo grosso dei liberali rimane la separazione delle carriere, che non mette affatto a rischio la democrazia, come ha sostenuto ieri l’ANM. Vero, semmai, il contrario: la separazione delle carriere costituisce una garanzia democratica per il cittadino.

Il fatto che nascano due CSM per carriere separate non significa certo consegnare l’esercizio dell’azione penale all’esecutivo, come sostengono i detrattori.

Come diceva Falcone, giurisdizione e accusa non possono andare di pari passo: una cosa è giudicare, un’altra accusare.

 

Glossario politico: laicità

 

Il libro della settimana (perché noi li leggiamo, Ministro)

Un Occidente prigioniero. Di Milan Kundera.

Nel giugno del 1967, poco dopo la lettera aperta di Solženicyn sulla censura nell’Urss, si tiene in Cecoslovacchia il IV Congresso dell’Unione degli scrittori.

Un congresso diverso da tutti i precedenti – memorabile. Ad aprire i lavori, con un discorso di un’audacia limpida e pacata, è Milan Kundera, allora già autore di successo.

Se si guarda al destino della giovane nazione ceca, e più in generale delle «piccole nazioni», appare evidente – dichiara Kundera – che la sopravvivenza di un popolo dipende dalla forza dei suoi valori culturali.

Il che esige il rifiuto di qualsiasi interferenza da parte dei «vandali», gli ideologi del regime.

La rottura fra scrittori e potere è consumata, e la Primavera di Praga confermerà sino a che punto la rinascita delle arti, della letteratura, del cinema avesse accelerato il disfacimento della struttura politica.

A questo discorso, che segna un’epoca, si ricollega un intervento del 1983, destinato a «rimodellare la mappa mentale dell’Europa» prima del 1989.

Con una veemenza che il nitore argomentativo non riesce a occultare, Kundera accusa l’Occidente di avere assistito inerte alla sparizione del suo estremo lembo, essenziale crogiolo culturale.

Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia, che all’Europa appartengono a tutti gli effetti, e che fra il 1956 e il 1970 hanno dato vita a grandiose rivolte, sorrette dal «connubio di cultura e vita, creazione e popolo», non sono infatti agli occhi dell’Occidente che una parte del blocco sovietico.

Una «visione centroeuropea del mondo», quella qui proposta, che oggi appare ancora più preziosa e illuminante.

 

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