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Newsletter n. 54 – 30/03/2024

Riconvocazione della consultazione degli iscritti

Giovedì abbiamo inoltrato a tutti gli iscritti aventi diritto al voto la riconvocazione della consultazione che avevamo inizialmente indetto per il 19/3/2024.

La trovate pubblicata anche qui.

L’odg è: “Proposta della Presidenza e della Segreteria di partecipazione alle prossime elezioni europee aderendo alla lista Stati Uniti d’Europa promossa da Emma Bonino”.

Vi sarà una sessione di “prima convocazione” che rimarrà aperta nel corso del pomeriggio del 5/4/2024 dalle ore 15:00 alle ore 19:00.

Nel caso in cui, in questa prima sessione, non si raggiungesse il quorum costituivo della maggioranza degli aventi diritto al voto (cioè, nel caso in cui partecipasse al voto meno della metà+1 degli aventi diritto al voto), si aprirà la sessione in “seconda convocazione”, nella quale, da Statuto, non è previsto alcun quorum costitutivo.

La sessione di “seconda convocazione” si aprirà nella giornata del 6/4/2024 dalle ore 09:00 alle ore 13:00.

All’apertura delle sessioni ciascun iscritto riceverà un’email di invito al voto dalla piattaforma VotaFacile.it (indirizzo [email protected]) all’indirizzo comunicato all’atto della iscrizione.

Se non si raggiungesse il quorum in prima convocazione, ciascun iscritto verrà avvisato per tempo della apertura della seconda convocazione.

La dirigenza comunicherà i dettagli della proposta politica mediante comunicazione a tutti gli iscritti in tempo utile prima del voto.

 Libdem per gli Stati Uniti d’Europa

Come avete capito, la dirigenza propone l’adesione alla lista Stati Uniti d’Europa promossa da Emma Bonino nel corso della convention tenutasi a Roma il 24/2/2024.

Considerato lo scenario politico complessivo, gli scopi per cui siamo nati e la scelta della maggioranza della base degli iscritti di non starsene fuori da questa tornata elettorale, per la dirigenza si tratta della proposta politica più coerente.

Noi siamo nati per unire e non per dividere, per cui per noi la porta rimarrà sempre aperta ad Azione e ad altre forze politiche dell’area liberaldemocratica.

Sui territori lavoriamo con gli amici di Azione e Italia Viva e in molti comuni ci presenteremo assieme a entrambe per appoggiare candidati terzi rispetto ai tradizionali schieramenti.

Questo per dire che per noi l’obiettivo di creare un più grande partito liberaldemocratico cercando di coinvolgere tutte le forze dell’area rimane tutto: bisogna riportare sulla scheda elettorale quell’offerta politica che nel settembre 2022, in così poco tempo, intercettò l’8% dell’elettorato.

Noi avremmo voluto arrivare alle elezioni europee esattamente con questa offerta politica, con un nuovo partito unitario. Non è stato possibile. Ne abbiamo preso atto, non abbiamo cercato colpevoli e abbiamo iniziato a lavorare per indirizzare comunque il percorso verso quella meta.

Su queste premesse, la dirigenza ha ritenuto di non poter stringere accordi con chi (a torto o a ragione non importa) ha posto veti non supportati da motivazioni politiche. Si sarebbe trattato di una soluzione escludente, che è esattamente il contrario di ciò per cui siamo nati.

Nulla di personale (per noi non è mai personale), ma solo politica.

L’adesione all’invito di Emma Bonino e Più Europa (che è iscritta ad Alde come noi) è pertanto risultata la soluzione politicamente più naturale e più coerente con gli scopi per cui siamo nati e la scelta della maggioranza della base degli iscritti di non starsene fuori da questa tornata elettorale.

Avrete visto che la stampa già parla abbondantemente di questa lista e che il nostro nome è pure comparso nel corso del sondaggio presentato da Bruno Vespa a Porta a Porta, sondaggio che attribuisce alla lista un 4,7%.

Ciò, nonostante gli accordi non siano ancora chiusi e né la dirigenza di Libdem, né quella di Più Europa abbiano ancora ratificato la scelta all’interno dei propri movimenti.

Ma, come sapete, i tempi della politica sono velocissimi.

Ciò non significa che chi ha lavorato per arrivare sin qui (con “qui” che oggi significa il nostro movimento aderente ad Alde e menzionato dai sondaggi a poco più di un anno dalla sua nascita) dia tutto per scontato.

La dirigenza scelse a dicembre di riservare la decisione finale agli iscritti e per questo la prossima settimana la parola passerà a voi.

I lavori per la lista dovrebbero ultimarsi nella giornata di martedì prossimo, nel corso di una lunga riunione che vedrà tutti gli attori attorno a tavolo.

La Presidenza e la Segreteria faranno tutto il possibile per trasmettere agli iscritti dettagli maggiori prima della consultazione del prossimo week-end.

Un’ultima cosa. Molti iscritti hanno evidenziato con una certa sofferenza la presenza attorno al tavolo di forze politiche che non sono iscritte a Renew Europe. Parliamo del PSI e di Volt (perché noi la DC non l’abbiamo mai vista ai tavoli; se ci fosse stata non ci saremmo mai seduti).

Capiamo l’obiezione. Però Volt, per quanto ci riguarda, pur essendo un partito progressista, non stonerebbe all’interno della famiglia di Renew Europe, che vede anche l’adesione di molti movimenti europei di stampo più progressista (per dire, c’è una distanza di un certo rilievo fra i tedeschi di FDP e gli olandesi di D66).

Per il PSI, è vero, il discorso è diverso, perché si tratta di un partito che si ascrive ad un gruppo politico diverso, quello dei S&D. Noi abbiamo sottolineato in più occasioni tale incoerenza al tavolo e non crediamo che eventuali eletti del PSI si iscriverebbero a Renew Europe invece che a S&D.

Arrivati sin qui, questa stonatura politica, tuttavia, non ci è parsa ragione sufficiente per abbandonare il tavolo.

Non è detto che il PSI sciolga la riserva sulla sua adesione entro il nostro voto del prossimo week-end. Per cui è giusto che sappiate che la proposta politica su cui sarete chiamati ad esprimervi contemplerà, verosimilmente, l’adesione alla lista SUE di Libdem, Italia Viva, Più Europa, Volt e PSI, salve defezioni successive. Defezioni che non dovrebbero certo riguardare Italia Viva e Più Europa.

Un ricordo di Luigi Einaudi di Andrea Bitetto comparso su Strade

Più che celebrare è opportuno ricordare Luigi Einaudi a 150 anni esatti dalla sua nascita. Qualsiasi celebrazione, infatti, corre il rischio di virare verso la retorica, retorica che per indole e per carattere erano quanto di più lontano dalla personalità Einaudi.

Le molte vite di Einaudi si sono intrecciate sino alla sua morte: continuò ad esser un professore sia quando ebbe la guida del Ministero del Bilancio, sia quando divenne Governatore della Banca d’Italia e, infine, quando divenne, lui monarchico, Presidente della neonata Repubblica.

In ciascuna di queste attività, così come prima nell’insegnamento e nella continua opera di divulgazione che condusse da pubblicista, mantenne sempre fede al suo orientamento liberale in politica e liberista in economia.

Ed è proprio il suo liberismo che vorrei proporre in questo abbozzo di ricordo.

Certo, Einaudi era un accademico, un professore, come si è detto, che però volle sempre contribuire a chiarire, a spiegare, a render comprensibili anche le leggi dell’economia all’opinione pubblica più vasta, evitando il linguaggio iniziatico proprio dei mandarini, grazie anche ad una prosa mai paludata, sempre fresca e tersa.

Einaudi non fu un economista sistematico: resterà sempre troppo forte in lui, anglofilo dichiarato come lo fu prima di lui il Conte di Cavour, l’ascendente esercitato dall’empirismo inglese e scozzese, e quindi la continua attenzione agli insegnamenti che venivano impartiti, prima di tutto a lui ed al suo pensiero, da quella che Bobbio descrisse come la “lezione dei fatti” (1).

Einaudi partiva sempre da un esempio concreto, prendeva a proprio riferimento non l’astratto – e quindi: inesistente – homo oeconomicus, ma l’imprenditore, l’agricoltore, lo speculatore, l’operaio, per esporre il problema concreto e fornire a questo una risposta altrettanto concreta.

Se Einaudi non fu sistematico, il concretismo, l’empirismo lo vaccinarono dall’ideologismo, ovvero, e nonostante le semplificazioni, rifiutò sempre di esser dipinto come un liberista tetragono, pronto ad applicare sempre e solo la ricetta liberistica a qualsiasi problema fosse chiamato ad affrontare.

Quell’immagine liberista fu, non a caso, definita dallo stesso Einaudi, in una risposta al deputato socialista Calosso, un “fantoccio mai esistito e perciò comodo a buttare a terra” (2), respingendo, assieme al fantoccio, la stessa tesi, summa liberistica, secondo cui i singoli uomini urtandosi l’un l’altro finirebbero per fare l’interesse proprio e quello generale, definendo tale summa come una autentica “invenzione degli anti liberisti, si chiamassero o si chiamino essi protezionisti o socialisti o pianificatori”.

Perché, per Einaudi, nessuno che abbia mai letto il libro classico di colui che è considerato per antonomasia il prototipo dei liberisti, Adam Smith, potrebbe mai ammettere che si possa applicare tale fantoccio liberista allo stesso Smith. Nella Ricchezza delle nazioni, infatti, lo scozzese iniziatore della stessa scienza economica, scrisse chiaramente che “la difesa è più importante della ricchezza” assoggettando quindi i cittadini ad imposte per perseguire il bene comune, per poi scrivere parole di fuoco contro i proprietari terrieri assenteisti.

Allontanato da sé il fantoccio liberista, Einaudi chiarirà a più riprese l’essenza della sua posizione economica. Troppo spazio richiederebbe qui l’affrontare la querelle che vide contrapposto lo stesso Einaudi all’altro grande pensatore liberale, Benedetto Croce, sul tema dei rapporti tra il liberalismo politico ed il liberalismo economico. Sia detto di passata: querelle che in realtà fu per molti aspetti più apparente che reale.

Dicevo: non a caso Einaudi, nello scansare il fantoccio costruito dai suoi avversari, si richiama ad Adam Smith.

Dallo scozzese, infatti, Einaudi non ereditò solo il chiaro empirismo, ma ancora prima il fondamento morale, prima che economico, della sua impostazione anche economica.

Tanto Smith quanto Einaudi, infatti, furono, prima che economisti, dei moralisti, ovvero degli studiosi della morale umana. Sarebbe impossibile pienamente comprendere La Ricchezza delle Nazioni senza aver letta e metabolizzata la Teoria dei Sentimenti Morali dello scozzese, così come è riduttivo tentare di qualificare il pensiero economico einaudiano senza partire dal fondamento morale della sua personale interpretazione del liberalismo tout court e del liberalismo economico.

Già nel corso del primo dopoguerra, e siamo nel 1920, Einaudi si premurerà di respingere le invocazioni di coloro i quali, dopo il flagello del conflitto mondiale e i timori del biennio rosso, anelavano “l’uniformità, il comando, l’idea unica a cui tutti obbediscano, il Napoleone”(3), in conformità ad un apparente bisogno dell’animo umano, il quale “rifugge dai contrasti, dalle lotte di uomini, di partiti, di idee, e desidera la tranquillità, la concordia, la unità degli spiriti, anche se ottenuta col ferro e col sangue”(4).

A tali invocazioni Einaudi rispondeva fermamente, tanto da voler abbozzare un “inno, irruente ed avvincente … alla discordia, alla lotta, alla disunione degli spiriti”. Perché, si chiede Einaudi, si dovrebbe mai volere che lo stato abbia un proprio ideale di vita a cui “debba napoleonicamente costringere gli uomini ad uniformarsi… perché una sola religione e non molte, perché una sola opinione politica o sociale o spirituale e non infinite opinioni?”.

Nel rispondere a queste domande retoriche Einaudi fa ricorso al tema classico del conflittualismo liberale, il tema che sessant’anni prima era stato magnificamente esposto nel volume On Liberty di John Stuart Mill. Ed anche qui il richiamo non è affatto casuale: nel 1925, e siamo nel pieno della temperie fascista, Einaudi scriverà una breve ma intensa prefazione alla edizione di On Liberty edita da Piero Gobetti, descrivendo il libro del filosofo ed economista inglese come “il libro di testo di una verità fondamentale: l’importanza suprema per l’uomo e per la società di una grande varietà di tipi e di caratteri e di una piena libertà data alla natura umana di espandersi in innumerevoli e contrastanti direzioni”.

Questa sintesi einaudiana fa il paio con il principio milliano (5) “la verità può diventare norma di azione solo quando ad ognuno sia lasciata amplissima libertà di contraddirla e di confutarla. È doveroso non costringere un’opinione al silenzio, perché questa opinione potrebbe essere vera. Le opinioni erronee contengono sovente un germe di verità. Le verità non contraddette finiscono per essere ricevute dalla comune degli uomini come articoli di fede (…) la verità, divenuta dogma, non esercita più efficacia miglioratrice sul carattere e sulla condotta degli uomini”.

Violando queste massime liberali perché protettive del conflitto di idee e di opinioni, prevale l’aspirazione all’unità, all’impero di uno solo: vana chimera, per dirla con Einaudi, l’aspirazione di chi abbia “un’idea, di chi persegue un ideale di vita e vorrebbe che gli altri, che tutti avessero la stessa idea ed anelassero verso il medesimo ideale” (6).

Così, però, ammonisce l’economista piemontese, non deve essere: “il bello, il perfetto non è l’uniformità, non è l’unità, ma la varietà ed il contrasto”. Da queste premesse, che sono come si è visto premesse di indole etica e morale, deriva la vera obiezione di Einaudi contro i sostenitori dei regimi collettivisti, o pianificatori, o protezionisti.

Al liberalismo, infatti, ripugna un assetto collettivista in quanto in un simile assetto, affinché possa funzionare, non può esistere libertà dello spirito, libertà del pensiero, in quanto quei regimi economici – se si escludono i modelli comunitari volontari tipici, ad esempio, dei vecchi conventi, o dei tentativi degli Owen, dei Cabet, dei Fourier di creare società comunistiche – devono necessariamente fare affidamento ad una struttura gerarchica della società, in cui il rapporto tra uomo e uomo non può essere rapporto improntato al principio di libertà bensì al suo opposto, al principio di dipendenza.

Ed allora, ecco che il parallelo di Einaudi, che poi è l’alternativa tra i due modelli, è rappresentato dalla necessaria ed intima relazione intercorrente tra le istituzioni sociali ed economiche rispetto all’ambizione dell’uomo.

L’uomo moralmente libero, e così la società composta da uomini siffatti e che condividano il sentimento di profonda dignità della persona, non potrà che creare, o tentare di creare, istituzioni economiche simili a sé stesso (7).

In una società dove tutto è dello stato, dove non esiste proprietà privata salvo quella di pochi beni personali, dove la produzione sia organizzata collettivamente, per mezzo di piani programmati centralmente, quali individui avranno maggior facilità di emergere? Non saranno certo i migliori, ammonisce Einaudi, bensì i “procaccianti”, coloro i quali fanno premiare l’intrigo al posto dell’emulazione.

E sarà sempre su queste basi morali ed etiche che Einaudi rifiuterà la nuova economia di Walter Rathenau, ritenendo il tipo di economia proposto dal tedesco come assolutamente inconciliabile con l’idea di stato liberale (8).

Il vero contrasto, infatti, non è tra anarchia ed organizzazione, niente affatto. Il vero discrimine corre tra l’obbligo di adottare un dato metodo di organizzazione, da un lato, e la libertà di scegliere tra parecchi metodi concorrenti, di sostituire l’uno all’altro, di usarne contemporaneamente parecchi o molti.

Il primo metodo è proprio di coloro i quali abbian saggiato il frutto dell’autorità, del comando, mentre il secondo metodo è quello delle persone cui la scienza e l’esperienza abbiano fatto persuase che l’unica, “la vera garanzia della verità è la possibiltà della sua contraddizione, che la principale molla di progresso sociale e materiale è la possibilità di cercare di adottare nuove vie senza il consenso dei dottori dell’università di Salamanca, senza attendere le direttive delle ‘superiori autorità’” (9).

La storia dell’uomo aveva quindi dimostrato la lotta, ed alla fine: la supremazia, di quell’ideale di stato il quale si vuole astenere dall’imporre “agli uomini una foggia di vita. Con le guerre di religione, gli uomini vollero che non ci fosse una unità religiosa imposta dallo stato. Con le guerre di Luigi XIV, di Napoleone, e con quella ora terminata [la Prima Guerra Mondiale, N.dA.] gli uomini combatterono contro l’idea dello stato il quale impone una forma di vita politica, di vita economica, di vita intellettuale. Vinse, e non a caso, quella aggregazione di forze militari, presso cui lo stato è concepito come l’ente il quale assicura l’impero della legge (…) all’ombra del quale gli uomini possono sviluppare le loro qualità più diverse, possono lottare fra di loro, per il trionfo degli ideali più diversi. Lo stato limite, lo stato il quale impone limiti alla violenza fisica, al predominio di un uomo sugli altri, di una classe sulle altre, il quale cerca di dare agli uomini le opportunità più uniformemente distribuite per partire verso mete diversissime o lontanissime le une dalle altre. L’impero della legge come condizione per l’anarchia degli spiriti”(10).

Einaudi, si è detto, non fu un sistematico, non fu un dottrinario. Ma fu coerente. La sua coerenza vedeva perfettamente che per assicurare il pieno sviluppo della personalità umana l’intervento dello stato era non solo opportuno ma necessario. Se infatti lo stabilire i fini e gli obiettivi di una società è opera che spetta ai politici o ai filosofi, il ruolo degli economisti diviene quello di indicare via via i mezzi migliori per il raggiungimento di tali obiettivi. Ma in questo il liberismo non opera come un principio economico, non è qualcosa che si contrapponga al liberalismo etico (11): è una soluzione concreta che gli economisti daranno a quel problema loro affidato per meglio comprendere quale sia lo strumento più perfetto per raggiungere quel fine stabilito dal politico o dal filosofo.

E questi strumenti saranno quelli idonei a condurre la “lotta a fondo contro tutti coloro che nelle industrie, nei commerci, nelle banche, nel possesso terriero hanno chiesto i mezzi del successo ai privilegi, ai monopoli naturali ed artificiali, alla protezione doganale, ai divieti di impianti di nuovi stabilimenti concorrenti, ai brevetti a catena micidiali per gli inventori veri, ai prezzi alti garantiti dallo stato” (12). Ed ancora, saranno necessarie, sempre, le leggi di protezione dei più deboli come le leggi di protezione ed assistenza degli invalidi al lavoro, degli anziani, il divieto di lavoro minorile, l’accesso alla istruzione scolastica per i capaci e meritevoli privi di mezzi, il riconoscimento non solo della libertà sindacale ma della pluralità dei sindacati e del loro ruolo nel pareggiare la forza contrattuale degli imprenditori, ovvero quella stessa libertà (liberale) che aveva fatto alzare la testa agli operai del biellese che Einaudi aveva seguiti e di cui raccontò, ammirato, la dignità delle loro conquiste, elogiando non il socialismo autoritario bensì il socialismo sentimento.

Insomma, per il liberale, e in questo senso: per il liberista, l’intervento dello stato – l’impero della legge – sempre sarà necessario ogni qualvolta non si riesca diversamente a garantire l’uguaglianza dei punti di partenza, senza privilegi di nascita, nella corsa della vita. La corsa, ed il suo esito, dipenderà poi dai talenti di ciascuno – l’anarchia degli spiriti.

Ed all’economista, in ogni caso, spetterà sempre l’ingrato compito di ricordare al politico che vicino alle Oche del Campidoglio, simbolo del successo e della popolarità, si trova la Rupe Tarpea, dove si rischia di finire se non si rispettano le regole ed i principi della buona economia. Perché, dopo tutto, gli economisti piuttosto che esser divisi in fantocci dovrebbero esser divisi, come ricordava Maffeo Pantaleoni, in sole due schiere: da una parte coloro i quali conoscono la scienza economica e, dall’altra parte, coloro i quali non la conoscono.

(1) N. Bobbio, Profilo ideologico del novecento, Milano, 1990, 105.

(2) L. Einaudi, Corriere della Sera, 22 agosto 1948, ora ne Lo scrittoio del Presidente (1948-1955), Torino, 1956, 7-11.

(3) L. Einaudi, Verso la città divina, in Rivista di Milano, 20 aprile 1920. 285-287, ora in L. Einaudi, Il buongoverno. Saggi di economia e politica (1897-1954), Bari 1954, 32-36.

(4) L. Einaudi, Verso la città divina, op. loc. cit.

(5) J.S. Mill, La libertà (1860), ed. Piero Gobetti, 1925, 3-6.

(6) L. Einaudi, Verso la città divina, op. loc. cit.

(7) L. Einaudi, Il nuovo liberalismo, in La Città Libera, 15 febbraio 1945, 3-6.

(8) L. Einaudi, in La Riforma Sociale, sett.-ott. 1918, 453-458 e passim.

(9) L. Einaudi, ult. loc. cit.

(10) L. Einaudi, Verso la città divina, op. cit.

(11) L. Einaudi, Liberismo e liberalismo, in La Riforma Sociale, marzo-aprile 1931.

(12) L. Einaudi, Lineamenti di una politica economica liberale, Roma, Partito liberale italiano, 1943.

Il libro della settimana

A che ci serve l’Europa. Di Emma Bonino e Pier Virgilio Dastoli

Appena uscito, l’ultimo libro di Emma Bonino ci accompagna in un viaggio dentro l’idea di Europa.

Ci serve davvero l’Europa? Non staremo perdendo tempo ed energie dietro a un’idea? Quella di oggi è la terra dei diritti immaginata a Ventotene?

Mentre l’Unione è sotto attacco da più parti, accusata di essere una matrigna distante dai problemi reali dei cittadini, Emma Bonino e Pier Virgilio Dastoli, protagonisti indiscussi del progetto europeista, scelgono di intraprendere un viaggio nella memoria personale e collettiva che ci riguarda tutti da vicino. Ripercorrono lotte e progressi, sconfitte e conquiste, recuperano le tracce delle esistenze e delle aspirazioni di tante donne e tanti uomini che si sono battuti per costruire e difendere questo ideale, e invitano a prendere coscienza di quanto ancora resta da fare, senza però commettere l’errore di dimenticare, o peggio di gettare via, l’enorme lavoro svolto finora.

Il risultato è un dialogo serrato e coinvolgente, stimolato dalle ricostruzioni del documentarista Luca Cambi, in cui si dà conto delle innumerevoli tappe di questo processo, si ravviva il dibattito sulle nuove sfide che ci attendono, e si offre il ritratto appassionato e avvincente di Altiero Spinelli, vero padre fondatore capace di intuire e ispirare con lungimiranza, in un continente lacerato dalla guerra, quei principi di fratellanza, pace e libertà a cui ancora oggi dobbiamo tendere.

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